Da decretarsi da parte dell’Assemblea nazionale nelle sue ultime sedute o in quella della prossima legislatura.
Preambolo
Uomo, sei tu capace di essere giusto? Chi ti pone questa domanda è una donna: questo diritto, almeno, non glielo toglierai. Dimmi. Chi ti ha dato il potere sovrano di opprimere il mio sesso? La tua forza? Le tue capacità? Osserva il creatore nella sua saggezza; percorri la natura in tutta la sua grandezza, alla quale sembri volerti avvicinare, e dammi, se hai il coraggio, un esempio di questo potere tirannico.
Risali agli animali, consulta gli elementi, studia i vegetali, getta infine uno sguardo su tutte le modificazioni della materia organizzata; e arrenditi all’evidenza, quando io te ne offro il modo. Cerca, scava e distingui, se puoi, i due sessi nell’amministrazione della natura. Ovunque, li troverai confusi, ovunque essi cooperano in armonioso insieme a questo capolavoro immortale!
Soltanto l’uomo si è creato alla meno peggio un principio di questa eccezione. Bizzarro, cieco, gonfio di scienza e degenerato, in questo secolo di luce e di sagacità, nella più crassa ignoranza egli vuole comandare da despota su un sesso che ha ricevuto tutte le facoltà intellettuali; che vuole usufruire della rivoluzione e reclamare i propri diritti all’uguaglianza, per non dire di più.
Le madri, le figlie, le sorelle, rappresentanti della Nazione, chiedono di essere costituite in assemblea nazionale. Considerando che l’ignoranza, l’oblio o il disprezzo dei diritti della donna sono le sole cause delle sventure pubbliche e della corruzione dei governi, esse hanno deciso di esprimere in una solenne dichiarazione, costantemente presente a tutti i membri del corpo sociale, ricordi loro continuamente i loro diritti ed i loro doveri, affinché gli atti del potere delle donne, e quelli del potere degli uomini, potendo essere in ogni momento paragonati con il fine di ogni istituzione politica, siano per ciò stesso più rispettati, affinché le rivendicazioni delle cittadine, fondate d’ora in avanti su principi semplici ed incontestabili, siano sempre volte al mantenimento della costituzione, dei buoni costumi, e al bene di tutti.
Pertanto, il sesso che è superiore per bellezza, come anche per coraggio nelle sofferenze materne, riconosce e dichiara, in presenza e sotto gli auspici dell’Essere supremo, i seguenti Diritti della Donna e della Cittadina.
ARTICOLO PRIMO
La donna nasce libera e rimane uguale all’uomo nei diritti. Le distinzioni sociali possono essere fondate solo sull’utilità comune.
II
Scopo di ogni associazione politica è la tutela dei diritti naturali e imprescrittibili della Donna e dell’Uomo: tali diritti sono la libertà, la proprietà, la sicurezza e, soprattutto, la resistenza all’oppressione.
III
Il fondamento di ogni sovranità risiede essenzialmente nella Nazione, la quale altro non è se non la riunione della Donna e dell’Uomo: nessun corpo, nessun individuo, può esercitare un’autorità che non emani espressamente da essa.
IV
La libertà e la giustizia consistono nel restituire agli altri ciò che appartiene loro; così, l’esercizio dei diritti naturali della donna ha come solo limite la perpetua tirannia che l’uomo le oppone; tale limite deve essere riformato dalle leggi della natura e della ragione.
V
Le leggi di natura e di ragione vietano ogni azione che possa nuocere alla società: tutto ciò che non è proibito da queste leggi, sagge e divine, non può essere impedito, e nessuno può essere costretto a fare ciò che esse non ordinano.
VI
La Legge deve essere espressione della volontà generale; tutte le Cittadine ed i Cittadini devono concorrere personalmente, o per il tramite dei loro rappresentanti, alla sua formazione; essa dev’essere uguale per tutti: tutte le cittadine e tutti i cittadini, dal momento che sono uguali ai suoi occhi, devono avere uguali possibilità di essere ammessi a tutte le dignità, a tutti i posti e a tutti gli impieghi pubblici, secondo le loro capacità, e senza altre distinzioni che non siano quelle delle loro virtù e delle loro capacità.
VII
Nessuna donna fa eccezione; ella viene accusata, arrestata e mantenuta in stato di detenzione nei casi stabiliti dalla legge. Le donne ubbidiscono come gli uomini a questa legge rigorosa.
VIII
La Legge deve stabilire soltanto pene strettamente e manifestamente necessarie, e nessuno può essere punito se non in virtù di una legge emanata e promulgata anteriormente al reato e legalmente applicata alle donne.
IX
Per qualunque donna dichiarata colpevole, viene esercitato dalla Legge ogni rigore.
X
Nessuno deve essere perseguitato per le proprie opinioni, anche fondamentali; la donna ha il diritto di salire sul patibolo; allo stesso modo, deve avere anche quello di salire sulla Tribuna, purché le sue manifestazioni non turbino l’ordine pubblico stabilito dalla Legge.
XI
La libera comunicazione dei pensieri e delle opinioni è uno dei diritti più preziosi della donna, poiché tale libertà assicura la legittimità dei padri nei confronti dei figli. Ogni cittadina può dunque dire liberamente: sono la madre di un figlio che vi appartiene, senza che un barbaro pregiudizio la costringa a nascondere la verità; salvo a rispondere dell’abuso di tale libertà nei casi previsti dalla legge.
XII
La garanzia dei diritti della donna e della cittadina implica un interesse più ampio; tale garanzia deve essere istituita per il vantaggio di tutti, e non per il beneficio particolare di quella cui essa viene data.
XIII
Per il mantenimento della forza pubblica, e per le spese dell’amministrazione, i contributi della donna e dell’uomo sono uguali; la donna partecipa a tutti i lavori ingrati, a tutti gli incarichi faticosi; allo stesso modo deve dunque partecipare alla distribuzione dei posti, degli impieghi, delle cariche, delle dignità e dell’industria.
XIV
Le Cittadine ed i Cittadini hanno il diritto di constatare personalmente, o per mezzo dei loro rappresentanti, la necessità di un contributo pubblico. Le Cittadine possono aderirvi solo se si ammette una uguale ripartizione, non soltanto nel patrimonio, ma anche nella pubblica amministrazione, e il diritto di determinare la quota, l’imponibile, la riscossione e la durata dell’imposta.
XV
La massa delle donne, coalizzata per il contributo a quella degli uomini, ha il diritto di chiedere conto ad ogni agente pubblico della sua amministrazione.
XVI
Ogni società in cui non venga assicurata la garanzia dei diritti e determinata la separazione dei poteri, non ha costituzione; la costituzione è nulla se alla sua redazione non ha collaborato a maggioranza dei componenti della Nazione.
XVII
Le proprietà appartengono a tutti i sessi, riuniti o separati; esse sono per ognuno un diritto inviolabile e sacro; nessuno può essere privato come vero patrimonio della Natura, se non quando lo esiga la necessità pubblica, legalmente constatata, e a condizione di un giusto e preventivo indennizzo.
Conclusione
Svegliati, donna! La campana a martello della ragione si fa udire in tutto il mondo; riconosci i tuoi diritti. Il potente impero della Natura non è più circondato di pregiudizi, di fanatismo, di superstizione e di menzogne. La fiaccola della verità ha moltiplicato le sue forze, ha avuto bisogno di ricorrere alle tue per spezzare le sue catene. Una volta libero, egli è diventato ingiusto nei confrinti della sua compagna. O donne! Donne, quando smetterete di essere cieche? Quali vantaggi avete ricevuto dalla rivoluzione? Un disprezzo più marcato, uno sdegno più grande. Nei secoli di corruzione, avete regnato, solo sulla debolezza degli uomini. Il vostro dominio è distrutto; cosa vi resta dunque? La convinzione delle ingiustizie dell’uomo. La rivendicazione del vostro patrimonio, fondato sulle sagge decisioni della Natura. Cosa avreste da temere per una così bella impresa? La buona parola del Legislatore delle nozze di Cana? Temete forse che i nostri Legislatori francesi, correttori di questa morale, a lungo appesa ai rami della politica, ma che non è più opportuna, vi ripetano: donne, cosa c’è in comune fra voi e noi? Tutto, dovreste rispondere. Se, nella loro debolezza, essi si ostinassero a contrapporre questa incongruenza ai loro principi, opponete coraggiosamente la forza della ragione alle vane pretese di superiorità; riunitevi sotto lo stendardo della filosofia; mostrate tutta l’energia del vostro carattere, e presto vedrete quegli orgogliosi, nostri servili adoratori, strisciare ai vostri piedi, ma fieri di condividere con voi i tesori dell’Essere supremo. Qualunque barriera vi si opponga, voi avete il potere di superarla; basta che lo vogliate.
Passiamo adesso al quadro spaventoso di ciò che voi siete state nella società; e poiché, in questo momento, si pone il problema di una educazione nazionale, vediamo se i nostri saggi Legislatori penseranno con giudizio a proposito dell’educazione delle donne.
Le donne hanno fatto più male che bene. La schiavitù e la dissimulazione sono state il loro destino. Ciò che la forza aveva loro sottratto, l’astuzia glielo ha restituito; esse hanno fatto ricorso a tutte le risorse del loro fascino, ed anche il più irreprensibile degli uomini non resisteva. Il veleno, la spada, ogni cosa era loro sottomessa; esse comandavano al crimine come alla virtù. Il governo francese, soprattutto, per secoli è dipeso dall’amministrazione notturna delle donne; il governo non aveva segreti per la loro indiscrezione; ambasciate, comandi, ministeri, presidenze, pontificati, cardinalati, insomma tutto quanto caratterizza la stupidità, sacra e profana, degli uomini, tutto è stato sottomesso alla cupidigia e all’ambizione di questo sesso un tempo spregevole e rispettato, e dopo la rivoluzione, rispettabile e disprezzato.
In questa sorte di antitesi, quante osservazioni ho da proporre! Ho a disposizione appena un momento per farlo, ma questo momento attirerà l’attenzione della posterità più remota. Sotto L’Ancien Régime, tutto era vizio, tutto era colpa; ma non si potrebbe scorgere il miglioramento delle cose proprie nella sostanza del vizio? Ad una donna bastava solo essere bella e gentile; quando possedeva queste due qualità, vedeva mille fortune ai suoi piedi. Se non ne approfittava, aveva un carattere stravagante, o una filosofia poco comune, che la portava a disprezzare le ricchezza; allora veniva considerata soltanto una ribelle. Anche la più indecente, con l’oro si faceva rispettare. Il commercio delle donne era una specie di industria ammessa nella classe più alta, che, ormai, non avrà più credito. Se ne avesse ancora, la rivoluzione sarebbe perduta e, da altri punti di vista, saremmo sempre corrotti. Tuttavia può la ragione nascondersi che ogni altra strada è sbarrata per la donna, che l’uomo compra, come [fosse] la schiava sulle coste africane? La differenza è grande; si sa. La schiava comanda il padrone, ma se il padrone le dà la libertà senza alcuna ricompensa, e un’età in cui la schiava ha perduto tutte le sue attrattive, che ne è di quella sventurata? Diventa oggetto di disprezzo, anche le porte della carità le vengono chiuse; è povera e vecchia, si dice; perché non ha saputo fare fortuna? Altri esempi ancora più toccanti si presentano alla ragione. Una giovane senza esperienza, sedotta da un uomo che ama, abbandonerà i genitori per seguirlo; l’ingrato la lascerà dopo qualche anno e più lei sarà invecchiata con lui, più l’incostanza di lui sarà disumana. Se ha figli, la abbandonerà lo stesso. Se è ricco, si crederà dispensato dal dividere la propria fortuna con le sue nobili vittime. Se un qualche impegno lo lega ai suoi doveri, egli ne violerà il potere, sperando ogni cosa dalle leggi. Se è sposato, ogni altro impegno perde i propri diritti. Quali leggi restano dunque da fare per estirpare il vizio alla radice? Quella della divisione dei patrimoni tra gli uomini e le donne, e quella della pubblica amministrazione. Come si può facilmente immaginare, colei che è nata da famiglia ricca, viene a guadagnare molto con l’uguaglianza delle divisioni. Ma colei che è nata da famiglia povera, e che possiede meriti e virtù, quale sarà la sua sorte? La povertà e l’obbrobrio. Se non eccelle particolarmente nella musica o nella pittura, non può essere ammessa ad alcuna funzione pubblica, quand’anche ne avesse la capacità. In questa sede voglio dare solo un’idea delle cose, le approfondirò nella nuova edizione di tutte le mie opere politiche che mi propongo di dare al pubblico fra qualche giorno, con delle note.
Riprendo il mio testo sui costumi. Il matrimonio è la tomba della fiducia e dell’amore. La donna sposata può impunemente dare dei bastardi a suo marito, e dare ad essi una fortuna che non appartiene loro. Colei che non è sposata non ha che un debole diritto: le vecchie leggi inumane le rifiutavano per i suoi figli questo diritto sul nome e su bene del padre, e in materia non sono state fatte nuove leggi.
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Se tentare di dare al mio sesso una giusta e onorevole consistenza, viene considerato in questo momento come un paradosso da parte mia, e come la volontà di tentare l’impossibile, lascio agli uomini che verranno la gloria di trattare questa materia; ma nel frattempo, la si può preparare con l’educazione nazionale, con il riassetto dei costumi e con le convenzioni coniugali.
Questa Dichiarazione fu scritta da Olympe de Gouges nel 1791.