SYLVIA PLATH
Il giorno che moristi andai nella terra, nell’ibernacolo senza luce dove le api, a strisce nere e oro, dormono finché cessa la bufera come pietre ieratiche, e il terreno è duro. Quel letargo andò bene per vent’anni – come se tu non ci fossi mai stato, come se io fossi venuta al mondo, dal ventre di mia madre, ad opera di un dio: sul suo letto largo c’era la macchia del divino. Non avevo nulla a che vedere con la colpa o altro quando mi raggomitolavo sotto il cuore di mia madre. Piccola come una bambola nel mio vestitino d’innocenza me ne stavo sdraiata a sognare la tua epopea, immagine per immagine. Non uno che morisse o sfiorisse su quella scena. Tutto avveniva in una bianchezza durevole. Il giorno che mi svegliai, mi svegliai a Churchyard Hill. Trovai il tuo nome, le tue ossa e tutto nelle liste di una necropoli gremita, la tua pietra maculata di sghimbescio presso una ringhiera. In questo ricovero, in questo ospizio, dove i morti si ammucchiano piede a piede, testa a testa, non un fiore a rompere il terreno. Questo è il vialetto delle azalee. Un campo di bardana si apre a sud. Sopra di te sei piedi di sassolini gialli. La salvia rossa non si muove nella vaschetta di sempreverdi di plastica posti davanti alla lapide vicina alla tua, e neppure marcisce, per quanto le piogge stingano un colore di sangue: i petali finti gocciolano, gocciolano rosso. C’è un altro rosso a incomodarmi: il giorno che la tua vela rilasciata bevve il respiro di mia sorella il mare piatto si fece di porpora come l’atroce panno che mia madre aprì al tuo ultimo ritorno. Prendo a nolo i paramenti di una tragedia antica. La verità è che in una fine d’ottobre, al mio primo vagito, uno scorpione si punse la testa, brutto segno; mia madre ti sognò riverso nel mare. Gli attori di pietra sostano, si riposano per riprender fiato. Ho dato tutto il mio amore, e tu sei morto. Fu la cancrena a mangiarti fino all’osso mi disse la mamma; moristi come uno qualunque. Come arriverò a far mio questo pensiero? Sono lo spettro di un suicida senza onore, il mio rasoio azzurro mi s’arrugginisce in gola. Oh, perdona colei che batte alla tua porta a domandarti perdono, padre – la tua cagnetta fedele, figlia e amica. E stato il mio amore a dare la morte a entrambi.