ANNE SEXTON – Il libro della follia
La primavera fu sepolta da una ruspa. Lei non voleva, non voleva, non voleva. Tardo aprile, tardo maggio e le piogge metalliche insistevano. Dalla finestra grigio pistola guardavo i tulipani atterriti sgangherare abbattuti come piccioni. Allora ignorai la primavera. Mi misi i paraocchi e cavalcai un ciuco in cerchio, un tiepido cerchio. Ho cercato di cavalcare in eterno ma sono ritornata. Ho ingoiato la mia carne acerba ma è ritornata. Ho messo una croce sopra alla memoria ma è ritornata. Ho messo il tempo alla catena ma è ritornato. Allora ho infilato la testa in una ciotola di morte e gli occhi si sono chiusi come vongole. Non sono ritornati. Fui dichiarata legalmente cieca dai miei libri, dalle carte. I miei occhi celestiali non sono voluti ritornare. I miei occhi, quelle due zoccole troie, non volevano più giocare. Allora mi sono inchiodata le mani su una scatola di legno di pino. Ho seguito le vene blu come una carta stradale al neon. Le mani, un paio di orsi, le due toccatrici, non si dilungavano più a parlare. Non tentavano più di mettersi in gioco. Trafitte all’oblio, non sono ritornate. Dismesse le loro abominevoli abitudini, si allenavano alla crocifissione. Non potevano rispondere. Allora ho preso le mie orecchie, un paio di lune fredde, e le ho fatte annegare nell’Atlantico. Non portavano maschere. Non si facevano ingannare dalle risate. Non erano luminose come l’orologio. Affogarono come uccelli ricoperti di petrolio. Non sono ritornate. Con le mie ossa addosso sulla scogliera le ho aspettate, se gallassero a macchia d’olio. Ma non sono ritornate. Non ho potuto vedere la primavera. Ascoltare la primavera. Toccare la primavera. C’era una volta una persona giovane che morì senza alcun motivo. Come me.