Negli anni ’70, soprattutto negli Stati Uniti, molte artiste iniziano a gridare il loro dissenso contro chi le vuole relegate nelle ultime file, fuori dalle gallerie, denunciando il potere maschile imperante di cui il mondo dell’arte era intriso e la mancanza di visibilità e accettazione della loro arte.
Nel corso di un decennio esplosivo, le artiste femministe rivoluzionano il modo in cui la società percepisce le donne e scuotono l’establishment fin nelle fondamenta con nuove forme d’arte sperimentale e provocatorie che sono vere e proprie dichiarazioni politiche.
Esplicite, rivoluzionarie, fiere della loro femminilità, insieme smontano preconcetti e cambiano la definizione dell’arte possibile, reagendo a secoli di una particolare rappresentazione della donne che era molto lontana dalla loro. Lo squarcio nel tessuto artistico, provocato dal movimento femminista, e la definizione di nuove regole non passa inosservata. Queste artiste trasformano quadri e sculture in vere e proprie performances artistiche, rivalutano l’uso di materiali e attività ritenute secondarie, facendole diventare il centro della loro arte.
L’opera d’arte diventa opera di protesta e rompe con le regole, le convenzioni, le gerarchie; le artiste si impossessano di spazi e luoghi pubblici per diffondere la propria arte dimostrando di non avere bisogno di nessuna autorizzazione per esporla.
Ma gli sforzi fatti da queste artiste non sembrano sufficienti: continuano a restare fuori dai circuiti delle gallerie e la loro arte continua a essere invisibile.
La necessità di avere uno spazio tutto per loro, spinge le due artiste Barbara Zucker e Susan Williams a dare vita alla prima galleria d’arte no-profit della storia fondata e gestita esclusivamente da donne. Non uno spazio dove l’arte viene mercificata, ma un luogo dove si può fare sperimentazione, dove si discute e si scambiano idee e progetti, dove tutte le donne possono contaminarsi vicendevolmente attraverso l’arte, perché il punto di vista delle donne è prezioso, convincente e necessario.
Con questo intento, le fondatrici iniziano a visitare studi di artiste da poter invitare in questo nuovo spazio, valutando i loro lavori e rivalutando quelle opere che altre gallerie avevano scartato. Non essendoci regole per la scelta delle opere, ciò che viene chiesto all’artista è che la sua arte esprima un pensiero coerente, sia d’impatto e mostri forza e coraggio.
Ben presto alle due artiste si uniscono Dotty Attie, Maude Boltz, Mary Grigoriadis e Nancy Spero e insieme selezionano altre quattordici artiste per formare il collettivo della A.I.R. GALLERY. Il collettivo comprende Rachel bas-Cohain, Judith Bernstein, Blythe Bohnen, Agnes Denes, Daria Dorosh, Loretta Dunkelman, Harmony Hammond, Laurace James, Louise Kramer, Anne Healy, Rosemary Mayer, Patsy Norvell, Howardena Pindell e Nancy Wilson-Pajic. Insieme inaugurano il loro primo spazio espositivo permanente che supporta lo scambio di idee e l’assunzione di rischi da parte delle artiste al fine di fornire supporto e visibilità.
Gli sforzi fatti dalle artiste alterano radicalmente il discorso pubblico sulle donne nelle arti e smontano i miti denigratori e altri stereotipi legati all’arte femminile che continua a vedere l’artista solo come “pittrice”.
Uno dei punti di forza di A.I.R. è che ogni artista è responsabile della propria mostra: realizza, cura, allestisce ed espone la sua opera, sperimenta e accetta i rischi che in altri spazi non avrebbe avuto il permesso di correre. In questo spazio tutti i media sono rappresentati: fotografia, scultura, pittura, performance, video, lavori sonori, installazioni, disegni. Si organizzano workshop e conferenze su questioni rilevanti che la comunità artistica femminile deve affrontare.
Le porte della galleria si aprono al pubblico il 16 settembre 1972 in Wooster Street, con le artiste del collettivo che espongono le loro opere, danno vita a performance e realizzano scenografie annunciando in tal modo che le artiste erano residenti stabili nel mondo dell’arte.
Il successo di questo esperimento, spinse il collettivo della A.I.R. ad ampliare il panorama artistico e ad aprirsi alla promozione di artiste provenienti da altre parti del mondo e che fino ad allora erano state completamente ignorate. Fu così che nel 1976 venne presentata la mostra di artiste francesi contemporanee per Air Combactive Profiles and Voices, curata dalla critica francese Aline Dallier con il coordinamento di Nancy Spero, aprendo un nuovo percorso che avrebbe portato A.I.R. a sponsorizzare altre mostre internazionali come Women Artists from Japan, 1978, curata da Kazuko Miyamoto; Artists from Israele, 1979, curata da Rachel bas-Cohain; Caught Between Mind and Body, 1994, a cura di Betti Sue Hertz, del Bronx Arts Council, sulla salute delle donne; Imprint, 1994, il primo workshop e mostra di stampa digitale su larga scala, coordinato da Daria Dorosh; AIR Expedition Sweden, 2010, mostra collettiva di sette artiste svedesi, coordinata da Daria Dorosh.
Fin dal suo prima anno di vita A.I.R. ha istituito stage di specializzazione legati all’arte per studenti, ha ospitato programmi, spettacoli e workshop orientati alla comunità su questioni rilevanti che avevano al centro il binomio arte-femminismo.
Nel 2006 l’archivio della A.I.R. Gallery è stato acquisito dalla Downtown Collection della Fales Library and Special Collections. Manifesti, fotografie, cataloghi, materiale amministrativo, articoli, lettere e altra corrispondenza, dal 1972 ad oggi, illuminano la crescita della galleria, la sequenza temporale delle mostre che mappano i cambiamenti degli artisti e degli stili della A.I.R. Gallery.
Nel 2008, presso la nuova sede di A.I.R. Gallerà a Brooklyn, viene presentata una mostra divisa in due parti, che mette insieme le opere di oltre 75 artiste che hanno fatto parte della famiglia di A.I.R.. La mostra dal titolo “ A.I.R. Gallery: The History Show, Work by A.I.R. Artists from 1972 to the Present”, offre una panoramica dei risultati artistici individuali e dell’impegno dell’organizzazione nei confronti della diversità e dell’autenticità artistica, indipendentemente dalle tendenze nel mondo dell’arte contemporanea. Sebbene tutti gli artisti partecipassero alla struttura femminista della galleria, questa prima panoramica completa mostra il lavoro rivoluzionario che i singoli artisti della galleria hanno realizzato grazie a nuove strategie femministe, l’uso di materiali e tecniche innovativi e non convenzionali.
Le donne che da quarant’anni contribuiscono alla A.I.R. Gallery non costituiscono un movimento o una scuola particolare ma sono una forza sociale coesa e di vitale importanza per il mondo dell’arte che meritano di essere ricordate; donne coraggiose che hanno lasciato un’impronta importante nel mondo dell’arte.
BARBARA ZUCKER
Nel corso della sua carriera, Barbara Zucker ha posto al centro della sua arte la figura umana o parti di essa. Tra il 1962 e il 1963 costruisce una foresta fallica alta più di 2 metri, in gesso e rete metallica; alcune rappresentazioni letterali del pene dipinte allegramente; una vagina in gesso colorata in oro a grandezza naturale.
Gli anni ’70 rappresentano per Zucker un periodo di sperimentazione sia politicamente che nella sua scultura. Esplora molti materiali cercando quelli che meglio servono da veicolo per un tema particolare; usa gomma, legno, silicone, gesso, kapok, alluminio, scaglie di metallo; ha cercato fonti di ispirazione nelle culture orientali, in particolare quella cinese e giapponese.
Insieme a Susan Williams, Barbara Zucker decise di fondare A.I.R. come un modo per combattere la sottorappresentanza degli artisti emergenti, principalmente donne, nel mondo delle gallerie di New York, all’epoca fortemente dominato dagli uomini. L’obiettivo era quello di creare un ambiente di lavoro professionale in cui le artiste potessero mostrare il proprio lavoro in uno spazio in cui la loro carriera artistica fosse presa sul serio. Nel 1972 A.I.R. era diventata una realtà tangibile; i membri fondatori si stabilirono in Wooster Street, e molte artiste a cui in precedenza era stata negata la rappresentanza in gallerie ora avevano una piattaforma con cui esporre le loro opere d’arte sperimentali, di genere e multimediali a un vasto pubblico.
Le ambizioni di Zucker per un mondo dell’arte più equo si sono estese oltre l’A.I.R. caratterizzando buona parte della sua carriera accademica. Durante il suo periodo come professoressa presso l’Università del Vermont, dove insegnò dal 1979 al 2001, introdusse studi specifici per l’arte femminile sostenendo che dovevano essere considerate tanto quanto i loro coetanei maschi.
L’oggetto del lavoro di Zucker esplora spesso la politicizzazione dei corpi delle donne nella sfera pubblica. Tra il 1989 e il 1997, ha utilizzato la scultura per affrontare argomenti come l’invecchiamento e la chirurgia plastica, utilizzando materiali industriali come acciaio, bronzo, resina e fibra di vetro con una dimensione umanistica evocativa di parti del corpo autocoscienti.
Nel periodo cha va dal 1998 al 2013, si concentra prevalentemente su un progetto che ha come argomento le rughe sui volti delle donne anziane: linee tortuose che i fiumi solcano sulla terra, ghiacciai che si spezzano, la superficie della terra in tempi di siccità. Elabora sculture, che nascono come autoritratti, per rendere omaggio alle donne della storia che ammirava e che hanno contribuito significativamente alla cultura dell’arte.
SUSAN WILLIAMS
Artista multimediale che insieme a Barbara Zucker ha dato vita alla A.I.R. Gallery. Ha conseguito il Master of Fine Arts alla New York University dove si iscrive inizialmente al corso di pittura per poi passare all’arte tridimensionale.
Crea sculture e lavora molto anche con il plexigas realizzando mobili, lampade, tavoli, che rappresentavano le sue esposizioni.
Le prime opere si caratterizzano per la dimensione come mostra una delle sue esposizioni dove si possono ammirare enormi contenitori di plastica trasparente pieni di fogli di giornale.
Dopo aver lasciato A.I.R. la sua arte non si è fermata: ha continuato a realizzare sculture, disegnare gioielli in argento, realizzato una serie di foto in bianco e nero manipolate.
DOTTY ATTIE
La sua arte si caratterizza per le riproduzioni di opere d’arte, del XVIII e XIX secolo, di maestri come Vermeer, Caravaggio, Ingres, che vengono ricontestualizzate e presentate con un testo di accompagnamento. Dotty copia frammenti di dipinti famosi e con mano attenta li manipola e riposiziona per illustrare narrazioni individuali. Immagini classiche di donne per evidenziare la loro vulnerabilità al potere e allo sguardo maschile. Il testo intervallato accentua le divisioni e propone una narrazione che descrive ciò che accade nel dipinto. Elementi nuovi vengono inseriti e contestualizzati: una scopa che spazza il sangue, una coda di serpente arrotolata, una mela caduta, una porta socchiusa, sono sfumature della violenza che le donne spesso subiscono.
In uno dei suoi lavori utilizza le rappresentazioni dell’iconico personaggio televisivo Lone Ranger, per esaminare le identità maschili e le fantasie che evocano. Ispirata dalle icone americane di alcuni supereroi, realizza figure e le colloca in scenari esplicitamente violenti o erotici; ritratti di donne nude e vestite di pelle intervallati da cowboy e uomini d’affari; una donna in ginocchio che si lascia sculacciare da un’altra donna.
Sfruttando il potere del subliminale attraverso immagini sconnesse, Attie conferisce al suo lavoro una qualità che serve a confrontare lo spettatore con un’intimità sorprendente.
Membro attivo dell’A.I.R., Attie ha contribuito a scegliere la sede iniziale dell’organizzazione, ha assistito nel reclutamento dei membri e ha lavorato per mantenere lo spazio. Durante questo periodo ha esposto il suo lavoro, curato diverse mostre di artiste, organizzato conferenze su argomenti di interesse per le artiste e lavorato per rendere il mondo dell’arte più inclusivo per le donne.
MAUDE BOLTZ
Come molti dei suoi coetanei, Maude Boltz trova pieno di ostacoli il mondo dell’arte dominato dagli uomini, spesso opprimente e dove il suo lavoro è spesso trascurato dai galleristi commerciali.
L’adesione all’A.I.R. introduce Maude in una comunità di artiste che si rifiutano di compromettere la propria creatività individuale per l’attrazione pubblica. Questo le permette di immergersi in un contesto incoraggiante dove si può operare fuori dagli schemi e senza alcuna pressione per stili o metodi consolidati. In questo posto Maude sviluppa diverse abilità artistiche che hanno poi caratterizzato tutto il suo lavoro.
Inizialmente si è concentrata sulla tattilità attraverso sculture che incorporano tela, stoffa, catene, legni e la realizzazione di oggetti che mostrano la relazione tra elementi apparentemente diversi. Le sue opere a volte raggiungevano dimensioni enormi tanto da riempire un’intera stanza, altre volte si riducevano per adattarsi al muro dello spazio della galleria.
Oltre alla scultura, è nota anche per i suoi dipinti, installazioni, acquerelli e stampe a getto d’inchiostro fino a concentrarsi sulla manipolazione digitale delle immagini.
MARY GRIGORIADIS
Lasciandosi ispirare dall’arte bizantina ma anche da quella degli indiani d’America, Mary Grigoriadis ha dedicato gran parte del suo lavoro a rimproverare l’indiscusso dominio della mascolinità occidentalizzata e razionalista espressa attraverso l’estetica dell’arte minimalista. All’inizio della sua carriera, aderisce al movimento Pattern and Decorazione, che utilizza l’arte, spesso trascurata, del lavoro manuale femminile per introdurre nuovi approcci alla composizione, allo spazio e al design.
Le sue opere, “icone secolari” come Mary le definisce, sono dipinti olio su lino dai colori intensi e dalle forme simmetriche. che si manifestano in paesaggi non definiti. Applica diversi strati di vernice per costruire superfici sontuose e luminose con pennellate che risaltano con il colore neutro del lino grezzo. L’uso non convenzionale di materiali e immagini fa risaltare ancora di più queste icone che esplorano anche l’uso dell’arte nell’architettura e nell’artigianato femminile di molte culture.
Ha tenuto la sua prima mostra all’AIR ed è diventata uno dei numerosi membri fondatori che sfidano attivamente la cultura maschile del minimalismo e del concettualismo attraverso l’arte femminista.
NANCY SPERO
Artista figurativa e pioniera innovativa dell’arte femminista, interessata alla differenza e alla rappresentazione del corpo, Nancy Spero ha lasciato un’impronta indelebile nel mondo dell’arte con il suo lavoro che è una dichiarazione impenitente contro gli abusi di potere, la guerra, il dominio maschile e i privilegi occidentali.
A Parigi, dove trascorre parte della sua vita, trova per la prima volta la forma da dare alle sue ansie interne riguardo alla guerra in Vietnam, in Algeria e ai suoi sentimenti di emarginazione come artista donna, riuscendo a dare voce alla sua arte attraverso dipinti a olio raffiguranti figure di genere indeterminato, intrecciate ma che si stanno per separare lasciando trasparire un tono calmo; soggetti senza tempo che fanno parte della quotidianità, amanti, grandi madri, bambini, prostitute; rappresentazioni di teste mozzate che tirano fuori la lingua e che hanno un aspetto frenetico.
Tornata in America si lascia coinvolgere dalle notizie sulla guerra in Vietnam e per dare sfogo alla sua rabbia contro questa guerra imperialista, inizia a dipingere la sua guerra realizzando furiosi disegni a inchiostro e tempera su carta che articolano la crudeltà e l’oscenità della guerra.
Nello stesso periodo inizia a interessarsi a quella che lei definisce la “vittima donna” e, cercando modi per rendere visibili storie locali di sottomissione femminile, si avvicina al movimento artistico femminile aderendo al Women Artists in Revolution (WAR), lasciandosi però coinvolgere anche da altri gruppi che in quel periodo manifestavano anche per l’uguaglianza per le artiste. Nel 1972 entra a far parte del collettivo di A.I.R. dando una casa alla sua arte.
Qui mette in opera il suo lavoro, con cruda intensità, su carta e avvalendosi di installazioni effimere. Si lascia ispirare da immagini, soggetti, eventi attuali e storici quali la tortura delle donne in Cile e Nicaragua, lo sterminio degli ebrei nell’Olocausto, le atrocità della guerra in Vietnam. L’archivio personale dal quale attinge va dai geroglifici egiziani alla pittura del XVII sec. alle pubblicità di lingerie. Sono di questo periodo i tanti discussi dipinti su rotolo, Codex Artaud, che fondono visioni apocalittiche con testi tratti dagli scritti di Antonin Artaud.
L’uso del motivo dei rotoli caratterizza buona parte della sua produzione artistica e la aiuta a sviluppare progetti per comunicare in modo ancora più diretto la condizione della donna in America e nel resto del mondo. Mostra le donne che soffrono, sia a causa della repressione che del patriarcato, e mostra i danni fisici subiti rendendo collettivamente visibile quella che di solito è l’esperienza individuale e invisibile del dolore.
L’uso di diverse tecniche, pittura, stampa, collage, mosaico, nonché i lavori eseguiti direttamente su parete e la scrittura del testo insieme all’immagine, rendono le opere di questa artista senza tempo.
RACHEL BAS-COHAIN
Artista concettuale il cui lavoro consiste in assemblaggi, sculture cinetiche, installazioni, incisioni, acquerelli e nell’uso di materiali non convenzionali quali carta per sigarette, lattice, fibra di vetro, sabbia, cosmetici, impiegati per realizzare opere che rendono chiaro il concetto di meccanica della vista e percezione attraverso l’impiego di discipline come musica, grafica, cinetica.
Partendo dal presupposto che tutto il vedere e il guardare siano limitati e talvolta frammentati, gioca concettualmente con la percezione che il pubblico ha delle informazioni visive e fisiche delle le sue opere e di come queste siano in grado di influenzare l’esperienza artistica.
Dopo essere diventata una delle venti fondatrici di A.I.R., la sua arte assume un’aspetto esplicitamente femminista e politico. In questo stesso periodo realizza una serie di opere, basate sulla cinetica, che si focalizzano sul concetto di fluidità della natura, dell’energia e dei fenomeni che si generano dalla loro unione. Sempre alla ricerca di un significato ultimo nel fisico, realizza opere che possono essere alterate a piacimento, progetti paesaggisti in cui penetra le colline con tubi e tondini di cemento, lavori in cui manipola la vista attraverso cespugli legati o tende bucate attraverso le quali guardare e avere visoni diverse.
Lei stessa definisce la sua arte come “aria, liquidi, luce in movimento, esposti come scultura” ed è questo che traspare dalle opere che Rachel realizza dove fotografie di disegni scultore, piatti con corde costruiti su un paesaggio e forme di organza di seta, vengono attaccate al soffitto sospese in scatole trasparenti. Sembra che portino con sé il peso della nostra mortalità ricordandoci la nostra effimerità ma anche la fragilità del corpo umano e la sua capacità di portare avanti un dialogo quando le parole sembrano insufficienti.
JUDITH BERNSTEIN
Crudo senso dell’umorismo, rabbia più grande della vita contro la politica machista, evidente ribellione come femminista. Sono queste le caratteristiche che hanno reso questa artista unica nel suo genere perché ha aperto le strade all’arte femminista e al punk. Il suo lavoro, spesso sessualmente esplicito e sfacciatamente politico, esplora un’ampia gamma di questioni culturalmente rilevanti che molti dei suoi contemporanei hanno evitato di rappresentare. Ha fatto della sessualità il centro dei suoi ideali femministi e il soggetto specifico e inequivocabile della sua arte.
Judith ha fatto parte delle Guerrilla Girls, collettivo artistico femminista, dove ha avuto la possibilità di confrontarsi con il mondo dell’arte attraverso poster e performance che hanno portato alla luce le disuguaglianze esistenti nel mondo dell’arte. Per questa ragione entra a far parte di A.I.R. un luogo dove finalmente la sua arte può avere libero sfogo.
L’ispirazione per le sue creazioni è nata inizialmente dalle pareti piene di graffiti dei bagni degli uomini della Yale School of Art. Molte delle sue opere ricordano l’estetica grezza, simile ai graffiti che aveva trovato in quei bagni, attraverso l’uso di immagini e di un linguaggio simili che danno voce a sentimenti espliciti contro la guerra e offrono una critica femminista alla repressione e denigrazione delle donne da parte di una cultura che sostiene e premia gli artisti maschi.
Inizia a occuparsi di questioni sociali creando disegni contro la guerra in Vietnam, falli di grandi dimensioni e pezzi costituiti interamente dalla sua firma, trasformando la sua rabbia in potenti opere grafiche e testuali.
Con umorismo quasi oltraggioso, provoca il pubblico e le istituzioni con dipinti e disegni furiosi che affrontano temi di guerra, aggressione sessuale e politica di genere.
Sale alla ribalta con i suoi monumentali disegni a carboncino su carta, che formano la figura di un pene-vite, per passare in seguito a dipinti realizzati in olio su tela, caratterizzati da pennellate fluide, veloci e dai colori fluorescenti dove vulve femminili si travestono da sfere fiammeggianti e volti trionfanti e urlanti. A volte l’immagine delle vulve è accompagnata da quella di piccoli peni flaccidi e cadenti sugli scroti e da vulve volatili. Lettere incastrate tra occhi spalancati e bocche aperte di teste a volte simili a teschi, ricordano davvero i graffiti presenti nei bagni pubblici.
BLYTHE BOHNEN
Pittrice astratta, fotografa, muralista e ceramista, ha esplorato gli effetti del movimento sulla tela attraverso una serie di dipinti che isolano e amplificano le singole pennellate. Il suo obiettivo è catturare il processo del movimento umano così come si manifesta in tempo reale e in sintonia con il corpo, catturando anche i cambiamenti più impercettibili attraverso la pressione e la velocità delle pennellate che generano variazioni nello spessore e nella traiettoria di ogni linea.
Entra nel mondo dell’arte come pittrice e nei suoi disegni e dipinti esplora gli effetti del gesto fisico esaminando come il movimento corporeo influisce sulla produzione artistica.
In questo periodo inizia a far parte del collettivo di artiste di A.I.R. e in questo nuovo spazio trova le condizioni e lo spazio per realizzare le sue opere.
Nel 1973, abbandona il colore, per concentrare la sua arte sulle espressioni monocromatiche attraverso disegni a grafite e fotografie. Crea opere su carta in cui usa il bordo di una barra di grafite per formare piccole forme astratte che variano leggermente nelle loro curve e gradazioni.
Inizia a concentrare l’attenzione sull’elemento fisico della creazione artistica attraverso la fotografia e incomincia a utilizzare la macchina fotografica per la prima volta per fotografare la sua mano e il suo braccio mentre si muove nell’atto di disegnare.
Successivamente inizia a realizzare una serie di suoi autoritratti che distorce intenzionalmente con vari movimenti e manipolazioni della velocità della fotocamera che interrompono ogni chiara rappresentazione del suo corpo. Queste stampe, quasi a grandezza naturale, sono intenzionalmente distorte e sfocate attraverso l’uso di esposizioni dell’obiettivo.
Il lavoro di questa artista attrae soprattutto per l’incredibile padronanza della fotografia e per il modo in cui la combina con le arti grafiche. Alla ricerca di nuove forme in movimento, gioca con la luce e l’obiettivo, con sovraesposizioni e composizioni volutamente sfocate creando una certa intimità tra soggetto e spettatore.
Con le sue opere ha saputo manifestare il suo impegno femminista enfatizzando una visione rinnovata e personale della figura femminile, passando da un piano fisico e materiale a uno in cui un movimento è congelato in un singolo momento attraverso una reazione chimica causata dalla luce sulla carta fotosensibile.
AGNES DENES
Pioniera dell’arte ambientale è passata dalla poesia alle arti visive come forma di espressione della sua creatività arricchendo con le sue innovazioni il pensiero ecologico nell’arte contemporanea.
Cresciuta in Svezia, dove la famiglia si era rifugiata per fuggire da un paese occupato dai nazisti prima e dai sovietici poco dopo, si trasferisce negli Stati Uniti dove studia pittura alla Columbia University di New York e dove inizia ad avvicinarsi alle problematiche ambientale.
Utilizzando una vasta gamma di mezzi e materiali non convenzionali, realizza disegni e stampe riproducendo schemi, simboli, mappe, codici che dimostrano il suo interesse e le sue esplorazioni in campi quali la matematica, la scienza, la filosofia.
Nel 1968 annuncia simbolicamente il suo impegno, come donna e come artista, per le questioni ambientali e le preoccupazioni umane, piantando del riso per rappresentare la vita, incatenando alberi tra di loro per indicare l’interferenza umana con i processi naturali, reinventando il rapporto tra uomo e terra e tracciando modelli di vita responsabile e sostenibile che includono nuovi percorsi di comunicazione.
Nel 1972 viene coinvolta nel progetto collettivo di A.I.R. e lì espone la sua prima mostra personale. La sua ricerca continua a focalizzarsi sulla necessità di far convivere il grande tema dell’arte pubblica con la necessità di un ritorno, da parte della società, alla natura. Sono di questo periodo quelli che lei stessa definisce “i primi disegni filosofici” ossia disegni complessi e ricercati che si rifacevano alle piramidi e alle proiezioni delle mappe, dove l’artista, usando inchiostri metallici, dimostra gli effetti che lo sviluppo urbano e la crescita della popolazione hanno sull’ambiente.
La sua notorietà è dovuta soprattutto alla maestosa opera realizzata tra la primavera e l’estate del 1982, dal titolo “Wheatfield – A Confrontation”, che consisteva in un campo di grano piantato su una superficie di 2 ettari, che nel tempo era diventata una discarica, nella zona di Wall Street. Il paradosso visivo del paesaggio urbano, un campo di grano tra grigi grattacieli, doveva spingere l’osservatore, secondo le intenzioni dell’artista, a porsi delle domande sull’utilizzo della terra, la pessima gestione delle risorse naturali, le diseguaglianze nella distribuzione della ricchezza e altre questioni ecologiche.
Il suo impegno ecologico e femminista ha continuato nel tempo ad arricchire la sua arte attraverso vari progetti come per esempio la collina artificiale, realizzata in Finlandia, dove gli alberi crescono secondo un modello vorticoso basato sulla matematica.
Nel 2013 avvia il progetto “A Forest for New York – A Peace for Mind and Soul”, ancora in corso, che mira a creare una foresta di centomila alberi su una discarica nel Queens. Lei stessa scrive: “L’importanza di questo progetto non è solo quella di aiutare con le condizioni di salute, ma di trasformare una discarica sterile e priva di alberi in una foresta rigogliosa. Più che semplicemente pulire l’aria e le falde acquifere, verrà creato un luogo di bellezza che le persone potranno visitare e di cui godere, una destinazione che darà loro la forza per le sfide della vita moderna”.
DARIA DOROSH
Artista, attivista e ricercatrice che partendo dall’intersezione tra arte, moda e tecnologia esplora la maniera in cui questi campi convergono sul corpo, realizzando opere che spingono l’osservatore a considerare cosa significa per un’opera d’arte essere posta in un determinato tempo e spazio. Il contesto, l’influenza sulla prospettiva e la specificità del luogo, sono componenti chiave nel lavoro di Daria Dorosh.
I temi dello spostamento e della discontinuità sono presenti in primo piano nei suoi primi lavori che includono piccoli acquerelli, rettangoli e dischi in gesso, opere scultoree e dipinti su carta, tutti realizzati usando colori chiari e pastello.
Nata e cresciuta in Ucraina, nel 1950 la sua famiglia emigra a New York facendo vivere all’artista una rottura con il suo ambiente familiare che la spinge a iniziare un lavoro alla scoperta del processo di formazione dell’identità.
Negli anni ’70 è tra le co-fondatrici di A.I.R. e da pittrice si ritrova attiva nella politica, nel femminismo, nella moda, nell’ambientalismo e nella tecnologia. I suoi dipinti sembrano essere incentrati su colori profondi, ricchi e luminosi. Realizzati ad olio su carta o, nel caso di opere di grandi dimensioni, carta con il retro in mussola, impiega colori grezzi che vengono stesi, sfumati e attenuati con mani o stracci e che creano una superficie liscia e cerosa. La differenza tra i colori si attenua, essi fluiscono insieme, si sovrappongono e si mostrano l’uno attraverso l’altro così che una superficie che apparentemente sembra di un solo colore, ad un esame più attento risulta composta non solo da quel colore ma anche da altri.
Negli anni ’90 Internet e i i programmi di manipolazione delle immagini, in particolare Photoshop, catturano completamente l’attenzione di Daria che inizia a utilizzare i diversi media per creare lavori meno tradizionali che caratterizzano la scultura, i video e le installazioni di questa artista.
L’installazione 2010 “Jump-Off” rappresenta un esempio molto ambizioso dell’intento dell’artista di comprendere la relazione tra ambienti artistici digitali e fisici. Composta da sei “tappeti narrativi” e sei “fasci di tessuti” collegati a video, audio e testo tramite codici QR, Jump-Off è una rete visiva che illustra la viscoelasticità delle informazioni mentre passano tra mezzi digitali e tattili, facendo percepire all’osservatore l’impatto della tecnologia sulle relazioni tra arte, moda e corpo.
Nella sua arte incorpora questioni attuali del panorama economico e socio-politico ed è proprio partendo dalla necessità di ricreare nuovi spazi commerciali che si fondino su modelli economici innovativi che diano ai giovani designer visibilità, che fonda Fashion Lab in Process (FliP) un’azienda che si caratterizza per responsabilità sociale nel mondo della moda e pratiche di progettazione sostenibili che consentano al pubblico di interagire con la moda in un ambiente etico e stimolante.
LORETTA DUNKELMAN
Co-fondatrice di A.I.R., ha studiato pittura ma si è interessata molto presto all’architettura di Frank Lloyd Wright e alle filosofie di Lao Tzu, le cui idee sullo spazio e il vuoto in architettura sembravano sovrapporsi. Entrambi i personaggi credevano che uno spazio più vivo fosse direttamente opposto a uno spazio pieno: per Lloyd Wright l’architettura era spazio, spazio per la vita, spazio per vivere; per Lao Tzu si costruiscono case, porte e finestre, ma è il vuoto, o spazio negativo, a rendere abitabili le dimore, a essere più vivo perché può essere riempito.
L’idea che un contenitore vuoto racchiude un vasto potenziale era una cosa che affascinava questa artista che a cercato di sviluppare il concetto di vuoto attraverso il proprio lavoro in particolare in una serie di primi dipinti e opere su carta che combinano forme minimaliste con strati superficiali sottili e con una superficie dipinta utilizzando uno o due colori stratificati.
Nel 1970, ispirata da un viaggio fatto in Grecia all’isola di Ios, realizza una serie di studi formali, classici, sui colori che si ispiravano al cielo e che influenzeranno fortemente i lavori successivi. La geometria, basata sulla linea e la sua proporzione ma anche sulla relazione tra un particolare e l’insieme implicito, e la superficie creata attraverso un processo di stratificazione del gesso mischiato a olio e cera acquerellabile su carta, sono gli elementi chiave delle opere di questa artista.
Negli anni ’80 la sua arte si concentra verso un metodo di creazione che privilegia il tattile piuttosto che il formale. Usa vernice e cera stratificati per creare spessi rilievi su tela e pennellate di colore pastello su una superficie bianca fatta con pittura a olio e cera. Creando molteplici strati di superfici in cui la fisicità della pittura viene trasformata dal colore e dalla luce, rivela la sua abilità nel fondere l’interesse superficiale con la profondità dello spazio e la profondità delle emozioni.
Ha tenuto sei mostre personali con la galleria ma si è lasciata coinvolgere anche in molti altri progetti femministi che promuovevano il lavoro di altre artiste come la sua partecipazione al Comitato ad hoc degli artisti femminili e il contributo all’organizzazione della “Thirteen Women Artists”, una delle prime grandi mostre di artiste negli Stati Uniti.
HARMONY HAMMOND
Artista e attivista, scrittrice d’arte e curatrice indipendente, ha svolto un ruolo essenziale nell’introduzione della politica lesbica nel movimento artistico femminile degli anni ’70, impegnandosi a combattere l’isolamento che molte artiste lesbiche si vivevano nel movimento. Diventa co-fondatrice di A.I.R. al fine di creare una piattaforma in cui le artiste, possano mostrare il proprio lavoro e organizza una delle prime mostre di artiste lesbiche intitolata “The Lesbian Show” che forniva spazio alle donne per mostrare il proprio lavoro e stabilire reti tra artiste. Ha anche co-fondato la rivista femminista “Heresies: A Feminist Publication on Art and Politics”, avviando un discorso pubblico su sessualità, razza, politica, violenza contro le donne e una moltitudine di altri argomenti rilevanti che fino ad allora non erano stati affrontati nell’ambiente artistico.
I primi lavori femministi combinano la politica di genere con la messa in discussione dei significanti di materiali e pratiche tradizionalmente femminili, evidenziando che sono proprio i materiali e i processi artistici che contribuiscono al significato di un’opera d’arte. Sceglie materiali che si riferiscono alle pratiche creative delle donne, come la tessitura, sfidando intenzionalmente la distinzione tradizionale tra scultura e pittura, così come tra arte e artigianato.
L’arte lesbica, quella che lei definisce una “treccia con tre fili, genere, sessualità e arte”, ha vissuto secoli di opprimente soppressione ed emarginazione all’interno del canone storico dell’arte. Quello che questa artista vuole fare è dipanare e intrecciare storie intese a generare un dialogo critico sull’arte lesbica, non semplicemente contrassegnandola come un genere distinto, ma radicandola nel discorso femminista e visivo.
Lavora con materiali e oggetti trovati come paglia, capelli, linoleum, lamiera per tetti, legno, secchi, pezzi di grondaie e abbeveratoi, ma la sua predilezione va per le stoffe perché sono quelle che più di ogni cosa celano la creatività femminile. Così pezzi di pavimento sono composti da diversi tappeti circolari intrecciati a mano che imitano la tradizionale tecnica di intrecciatura dell’artigianato domestico. Ogni pezzo del pavimento è un dipinto che spinge i frequentatori della mostra a girare attorno al dipinto sovvertendo la funzione tradizionale dei tappeti intrecciati.
Ha realizzato sculture partendo da armature di legno che ha avvolto strettamente con stoffa e ricoperto da strati di vernice acrilica e altri materiali.
Intorno agli anni ’90 intuisce che nonostante il lavoro che continua a fare, c’è ancora un vuoto in termini di visibilità delle artiste lesbiche e inizia a lavorare alla stesura di “Lesbian Art in America: A Contemporary History” testo storico-artistico unico nel suo genere.
Harmony Hammond attraverso la sua arte sottolinea che: “Non possiamo permetterci di tacere o lasciare che siano gli altri a decidere che tipo di arte possiamo o non possiamo fare, né lasciare che il nostro lavoro creativo venga ignorato, raddrizzato, destoricizzato, decontestualizzato o cancellato.”
LAURACE JAMES
Appartenente al collettivo di A.I.R. fin dalla sua origine, ha utilizzato la sua esperienza in falegnameria per aiutare a costruire muri e configurare il cablaggio elettrico per lo spazio della galleria.
Le sue opere sembrano avere l’intento di esplorare lo spazio e la materialità degli oggetti attraverso le loro forme, rivelando un fascino per la cinetica e i movimenti immaginari che hanno sempre contraddistinto i lavori di questa artista e che hanno dato vita alla mostra personale fatta alla A.I.R. Gallery nel 1979 durante la quale Laurace ha esposto una serie di pezzi che consistevano in assemblaggi di pezzi più piccoli che dipendevano da una serie di corde, ganci o cerniere per la propria stabilità.
Le sue costruzioni sono prevalentemente in legno con alcune superfici dipinte a altre lasciate grezze. Ognuna è accompagnata da una serie di istruzioni che spiegano come il pubblico può manipolare l’opera, spostando i giunti incernierati oppure riattaccando i ganci agli occhielli o ancora attraverso la trazione di corde che avviano un movimento stabile avanti e indietro, creando nuove simmetrie.
Con la sua arte ha favorito un rapporto con il pubblico incoraggiando gli spettatori a guardare attraverso piuttosto che verso il suo lavoro, adottando così un approccio unico per arricchire l’esperienza dell’oggetto d’arte all’interno dello spazio di una galleria.
Alcune sue installazioni dimostrano il profondo interesse dell’artista per la cinetica e i sistemi mobili come anche una serie di costruzioni da tavolo in legno, corda e tenditori che dovevano essere manipolate e riposizionate dallo spettatore al fine di indagare le loro numerose varianti.
ANNE HEALY
Co-fondatrice di A.I.R., le sue opere sono costituite da grandi sculture installate all’aperto e sensibili ai cambiamenti della luce, del vento e di altri aspetti dell’ambiente.
Anne lavora in modalità diverse che hanno in comune solo l’uso di materiali flessibili e il ricorso a strutture di tensione per disciplinare la morbidezza del materiale. La stoffa è il suo materiale preferito e le prime sculture che realizza affrontano i temi della malleabilità dei materiali moderni e dell’articolazione dell’arte negli spazi pubblici.
Utilizza nastri o striscioni di stoffa di nylon, ognuno di un colore diverso, sospesi uno sull’altro come lo spettro di un fascio di luce; strisce di tela appese a un edificio e attaccate a un marciapiede per creare forme che mostrano il dinamismo ambientale.
Il suo lavoro è rappresentativo di un periodo durante il quale le pratiche artistiche femministe si scontravano per la prima volta con i discorsi formali sull’arte. Anne si lascia coinvolgere dal movimento artistico femminista alla fine degli anni ’60, e più o meno nello stesso periodo incontra Barbara Zucker, grazie a un interesse condiviso per il teatro, che la invita ad unirsi ad A.I.R. dove si impegna a lavorare all’interno degli spazi statici della galleria.
Realizza opere che sono sculture in tessuto che partono dal soffitto e arrivano al pavimento e che nascondono una struttura in alluminio per dare forma in assenza di agenti naturali di cambiamento.
LOUISE KRAMER
Artista newyorkese nota soprattutto per aver lavorato con una vasta gamma di generi dall’incisione al disegno, alla scultura, alle installazioni.
In una mostra collettiva con A.I.R. nel 1983, ha debuttato con una serie di sculture realizzate in omaggio a sua madre sarta in una fabbrica, dove i materiali impiegati, che includevano cartone flessibile, accanto all’acciaio rigido, ottone e alluminio morbidi, si riferivano alla natura industriale del lavoro di sua madre, mentre i piani piatti e le forme semplici evocavano il compito quotidiano della sarta di tagliare i tessuti per creare modelli.
Sfruttando l’atmosfera esplorativa del movimento artistico femminile, Louise ha innovato un’ampia varietà di mezzi tra cui scultura e incisione. Il Whitney Museum of American Art ha riconosciuto alcuni dei suoi primi sforzi nell’incisione presentando, in una mostra del 1976, opere su carta dell’artista che mostravano immagini prodotte facendo scorrere un panno imbevuto di inchiostro attraverso una pressa.
Nella scultura divenne nota per le sue forme severe e astratte che utilizzavano materiali di estrema durata e fragilità.
ROSEMARY MAYER
Artista e scrittrice prolifica che ha esplorato molti media, conosciuta soprattutto per le sue sculture di grandi dimensioni realizzate con tessuto e installazioni all’aperto ma anche per il suo coinvolgimento nel movimento artistico femminista che la vede tra le co-fondatrici di A.I.R..
Il suo interesse per la storia dell’arte, si è concretizzato nella traduzione del diario dell’artista manierista italiano Jacopo da Pontormo, pubblicato insieme a un catalogo delle sue opere. Artisticamente si è preoccupata della temporalità e della transitorietà iniziando a esplorare questi temi attraverso testi, immagini e forme. Il testo è presente in quasi tutta la sua produzione artistica che comprende sculture, opere su carta, illustrazioni, libri d’arte e installazioni.
La sua arte spazia e coinvolge vari ambiti: oggetti realizzati con tessuti delicati e morbidi che sembrano sfidare le leggi di gravità; sculture composte da doghe di legno tirate in equilibrio che sembrano resistere alla flessione; installazioni all’aperto, “Monumenti temporanei”, fatti da palloncini e neve che evidenziano chiaramente l’idea dell’artista di scultura sociale in movimento ossia dell’oggetto d’arte che non dovrebbe mai essere fermo, immobile e indipendente dalle sue circostanze.
Alcune delle sue sculture prendono il nome da donne dell’antichità: Hiroswitha, monaca e poetessa, The Catherines (dal nome di molte donne dell’epoca), Galla Placidia, imperatrice romana e Hypsipyle, regina mitologica dell’antica Grecia. Sono realizzate con l’ausilio di corde, ganci, e fasce traslucide di tessuti colorati evocativi del corporeo e della transitorietà, elementi che contraddistinguono le creazioni dell’artista, differenziandola da quella dei suoi colleghi maschi che invece utilizzano materiali pesanti, come acciaio o cemento, mentre lei predilige materiali tradizionalmente domestici e femminili.
Molte delle sue opere mettono in risalto l’interesse formale dell’artista per il drappeggio, l’annodamento e il cucito concretizzato nei disegni e nelle sculture tessili.
Dopo il 1975, anno in cui l’artista viene in Italia a visitare le opere di Pontormo a Firenze, inizia una produzione di acquerelli raffiguranti forme floreali astratte, spesso stratificate con testo, che lei stessa definisce “dissolvibili” e “impossibili” come le sculture tessili.
Alla fine degli anni ’70 la scelta dei materiali si concentra su palloncini, nastri, fiori, neve per la realizzazione di “monumenti temporanei” come forme di commemorazione locale create in risposta a eventi, luoghi o persone. In Some Days in April l’artista, per rendere omaggio ai suoi genitori nati in aprile e a una sua amica morta nello stesso mese, ha legato dei palloncini ai pali posti in un campo e ha dipinto su ogni palloncino la data di aprile associata a ciascuna persona insieme ai nomi del fiore di stagione e alle costellazioni che si potevano vedere in quel giorno. Ma forse “l’opera che svanisce” è rappresentata più di tutti da Snow People, che comprendeva quindici figure scolpite nella neve, ciascuna dedicata a donne che avevano vissuto in quel luogo e il cui nome era riportato su un cartellino posto ai piedi della scultura stessa.
Con la sua arte, questa artista ha scelto di rappresentare il passare del tempo attraverso l’impiego di materiali fugaci: l’acquerello che sbiadisce, il tessuto che si consuma, la neve che si scioglie, il vento che si calma.
PATSY NORVELL
Scultrice e artista di installazioni d’arte pubblica, attiva nel movimento delle donne dal 1969, aderente a gruppi di formazione consapevole di artisti per sensibilizzare il grande pubblico sui problemi della disuguaglianza di genere nel mondo dell’arte, ha contribuito a fondare A.I.R. Gallery.
La sua arte ha attraversato diversi periodi ognuno dei quali caratterizzato dall’uso inconsueto dei materiali adoperati. Negli anni cha vanno dal 1970 al 1973, realizza opere murali in cui strisce di carta , raso, vinile e altri materiali vengono piegate e cucite insieme in diverse file. Negli anni successivi realizzò opere da parete con ciocche di capelli attaccate con nastro adesivo e disposte in file orizzontali. Gli ultimi lavori sono installazioni da pavimento, recinzioni, muri, ellissi, cerchi, di dimensioni variabili e realizzati con una molteplicità di materiali, alcuni lasciati nel loro stato naturale altri colorati, collegati insieme: acciaio verniciato, vetro, legno, rami, bastoncini di legno e porcellana, ossa di coniglio.
I progetti permanenti di arte pubblica realizzati dall’artista, includono installazioni presso le stazioni della metropolitana Beverley e Courtelyou BMT a Brooklyn, in piazze a Los Angles, nel New Jersey, a Bridgeport e altri luoghi sparsi per gli Stati Uniti.
HOWARDENA PINDELL
Artista dai molteplici talenti che in quanto giovane artista donna di colore che viveva a New York alla fine degli anni ’60, ha dovuto affrontare ostacoli significativi che le impedirono di ottenere il riconoscimento che le spettava per il suo lavoro.
Nonostante numerosi incarichi ricoperti in Musei quali il MoMa, le è stata rifiutata la rappresentanza in gallerie e le sono state negate mostre per il suo lavoro a causa del genere e i pregiudizi razziali che proliferavano nel mondo dell’arte all’epoca. Ciò non le ha impedito, tuttavia, di continuare a lavorare tenacemente e nel 1972 ha co-fondato A.I.R. con altre artiste anch’esse indignate dalla misoginia sistemica che impediva loro di raggiungere la visibilità che spettava.
La passione di questa artista per i dipinti di Duchamp spingono la sua fascinazione verso l’avanguardia anche se man mano che la sua carriera si sviluppa, passa dalla pittura figurativa al lavoro astratto e al lavoro autobiografico carico di messaggi apertamente politici.
«Come donna nera americana, attingo alla mia esperienza per come l’ho vissuta e non come altri desiderano percepire il mio vivere romanzato nei media e nei cosiddetti libri di «storia». I neri americani, tutti gli americani non-bianchi, affrontano quotidianamente il razzismo proiettato su di loro da maschi e femmine bianchi […] La femminista bianca che desidera l’uguaglianza per sé stessa, troppo spesso rimane una razzista nella sua «uguaglianza», e il suo razzismo resta inavvertito dalle sue colleghe, che possono anche portare lo stesso veleno»
Così scriveva a proposito del videoritratto Free, White, and 21 (1980), uno dei primi pezzi a stabilire questa nuova direzione nella sua pratica artistica, in cui Howardena recita due personaggi: sé stessa, una donna di colore che racconta le discriminazioni razziali subite e una femminista bianca liberale.
Il film ha debuttato per la prima volta all’A.I.R. nel 1980 per la mostra Dialectics of Isolation organizzata da Ana Mendieta, Zarina e Kazuko Miyamoto, con lo scopo di attirare l’attenzione sulle difficoltà affrontate dalle artiste non bianche in uno spazio dominato dalle donne bianche.
La convinzione di Pindell che la comunità artistica dovesse diventare più inclusiva nei confronti delle donne e delle minoranze ha innescato una rivoluzione nel suo lavoro.
Per la realizzazione delle sue opere, taglia tele in strisce, le ricuce insieme creando superfici elaborate. I suoi primi disegni sono composti da una sequenza di parole e numeri su carta millimetrata; successivamente sviluppò una tecnica di collage utilizzando piccoli cerchi perforati a mano da fogli di carta bianca o stampata che dopo essere stati numerati venivano incollati su fogli di carta perforata e integra, in modo che galleggiassero su superfici porose e solide allo stesso tempo; in seguito è passata a collage basati su foto, video e dipinti in rilievo con argomenti intensamente politici quali la mancanza di rappresentazione degli artisti di colore ma anche questioni sociali come quelli dei senzatetto, dell’AIDS, della guerra, del genocidio, del sessismo, della xenofobia e dell’apartheid.
Per la serie “Video Drawings”, iniziò a studiare l’effetto della luce artificiale sul monitor televisivo e iniziò a scrivere piccoli numeri su acetato e a posizionarli sullo schermo televisivo che poi fotografava. Questi esperimenti portarono ad una lunga serie di lavori che comprendono i suoi disegni su eventi sportivi e di cronaca, comprese le elezioni televisive.
Tuttavia, il suo vero coinvolgimento nell’arte a sfondo sociale e politico arrivò all’inizio degli anni ’80, quando iniziò a utilizzare la fotografia e il video per affrontare questioni di razza e genere.
NANCY WILSON-PAJIC
Artista che con le sue performance femministe, fatte di installazioni sonore e testo, ha sfidato lo stereotipo del ruolo femminile nei modelli sociali moderni.
Esclusa dalla partecipazione al mondo dell’arte, sia per il genere che faceva sia per il fatto che era una donna, ha sempre lavorato libera da vincoli convenzionali e la sua arte si è evoluta in una pratica di costruzione e di narrazioni a partire da oggetti, installazioni sonore, fotografie e altri media. Prende le esperienze personali e le mette a confronto con le aspettative della società, ponendo in netto rilievo le convenzioni spesso indiscusse della vita quotidiana. La sua influenza ha giocato un ruolo significativo nel trasformare il mondo dell’arte in un mondo che consenta un genuino interesse e rispetto per la soggettività delle donne.
Il suo coinvolgimento con A.I.R. come membro fondatore le ha permesso di mostrare lavori esclusi dalle sedi tradizionali. Dal 1974 in poi, fu maggiormente coinvolta nella comunità artistica internazionale e ha svolto un ruolo importante nell’avanguardia internazionale dell’epoca, in particolare attraverso performances e installazioni narrative che esploravano il ruolo e la condizione delle donne nella società moderna. Il testo è il filo conduttore principale delle sue opere, serve a stabilire un rapporto più diretto, più intimo con lo spettatore, un’interattività intellettuale, un modo per farlo interessare a trascorrere del tempo con l’opera, per fare uno sforzo per capire di cosa tratta, incoraggiandolo a riflettere in modo critico sulle complesse relazioni che esistono tra l’opera, il contesto artistico e la propria vita.
Collocare i testi nei vari contesti, mettere i pensieri nello spazio, rivolgersi ai bisogni degli spettatori, era un modo di lavorare, secondo l’artista, per attualizzare il ruolo sociale dell’arte su una base più ampia. I processi attraverso i quali le informazioni si accumulano e vengono trasformate sono stati contestualizzati e proposti allo spettatore attraverso l’uso di registrazioni sonore e testi scritti, video e film, fotografie, disegni e stampe fatte con il computer, in installazioni sotto forma di libro, per creare spazi mentali all’interno dei quali può avere luogo la riflessione creativa.
Alla fine degli anni ’70, l’artista si stabilisce definitivamente a Parigi dove inizia a lavorare sulla funzione rappresentativa della fotografia, in particolare in relazione al testo. I suoi primi esperimenti con la fotografia la portano a usare processi alternativi come il carboncino, la cianotipia, il fotogramma che in seguito divennero un punto fermo del lavoro estetico di Nancy che concentrò la sua attenzione sull’immagine e continuò a realizzare opere influenti come fotografa contemporanea, trasformando la forma d’arte e guardandola attraverso una lente femminista critica.