ANNA MAFAIERA
Appena desta già mi sento stanca. Accendo una sigaretta. Accado così intera nel sensibile che mi avverte e mi precisa i termini delle preoccupazioni di cui mi trovo ingombra quelli sentimentali letterari le nipoti la tiroide il costo della vita le mancate notizie i panni da lavare i muratori in casa la rottura delle tubature l’obbligatorietà del lavoro il capo-personale il capo-ufficio il tempo inattivo la sottigliezza delle chiacchiere uguali l’indifferenza per i guai altrui che ogni giorno mi sento elencare i miei invece accaniti presenti passionali. Mi accingo a svolgere varie attività. Considero che il lavoro stanca l’umiliazione avvilisce il corpo perde di vigore il compenso non è mai abbastanza quello che ora è compiuto stasera o domani da rifare. Non sono certa di quello che mi piace di ciò che gradirei. Mi distrae il giornale con gli avvenimenti pubblici e mondani la cultura aggiornata e appagata il contegno disinvolto il vestito ben fatto il racconto dei muri il gioco piacevole di adesione al discorso. Mi obbligano ad una meditazione gli interessi personali la cronaca nera i luoghi comuni gli eventi passati ricreati imprecisati le sorprese i raggiri le combinazioni la pornografia il predicatore dei buoni costumi l’inferno altamente ingombro il paradiso quasi vuoto. Non posso basarmi sulla istruzione convalidata trovo eroico il comportamento di chi pensa fino a non riuscire a pensare mi rimprovero la soggezione al non tempo libero l’infinita disponibilità verso il prossimo accertato la mia non perfetta disposizione all’arte culinaria rimprovero il mio fegato che non vorrebbe permettermi di bere più di un goccio per tirarmi su. Mi dicono che non devo lamentarmi perché non ho famiglia. E le colpe che mi coinvolgono gli errori a cui mi espongo gli orrori che si espandono e che anche io assorbo le costanti terribili minacce contro una sempre più inerme moltitudine? È questo il tracciato utile a salvare almeno una motivazione dell’anima?