"La scrittura esige virtù scoraggianti, sforzi, pazienza: è un'attività solitaria in cui il pubblico esiste solo come speranza" - Simone De Beauvoir
DONNE INVISIBILI

DONNE INVISIBILI

La popolazione femminile protagonista di questo racconto, è molto diversificata perché le migranti sono diversificate fra loro, il percorso migratorio di ognuna è diverso e questa diversificazione riflette spesso una forma di immigrazione composita ed eterogenea. Le donne migranti pagano quando partono, durante il viaggio e anche quando arrivano nel paese di destinazione perché soggette a una doppia discriminazione: di origine etnica e di genere.

Alcuni le vedono come legate a culture arretrate, altri come donne da salvare da un contesto culturale che le vede vittime per definizione, forse una piccola parte riflette sul loro progetto migratorio. In realtà i progetti migratori prendono forma per ragioni e situazioni diverse: il desiderio di autonomia economica che si intreccia con la ricerca della libertà; la necessità di scappare da situazioni di oppressione e di violenza basate sul genere; sfuggire alle tante forme di discriminazione e subalternità a cui molte donne sono obbligate come i matrimoni forzati, le mutilazioni genitali, l’impossibilità di accedere a una formazione scolastica, gli stupri entici e di guerra, e altre forme di violenza.

Durante la loro vita affrontano discriminazioni per essere donne, straniere, o appartenenti a gruppi minoritari, indigenti in una società patriarcale dove parlare di femminilizzazione del processo migratorio non è ancora attuale o comunque non si ritiene di doverlo differenziare da quello che è il fenomeno migratorio nel suo complesso. Ancora oggi le politiche migratorie sono basate sulla considerazione del migrante senza distinzione di genere e quindi, per consuetudine, maschio trascurando in tal modo le specificità legate al genere.

Queste donne sono donne rese ancor più vulnerabili dai pericoli del viaggio che le ha portate sulla rotta marittima migratoria più pericolosa: il Mediterraneo centrale che collega l’Africa occidentale, l’Africa orientale e il Corno d’Africa alla Libia, alla Tunisia, all’Egitto e, proseguendo, all’Europa. Il percorso migratorio delle donne, che può durare qualche mese come molti anni, le costringe a viaggiare per migliaia di chilometri attraversando anche il Sahara che rappresenta una sfida spesso mortale. Lungo questa rotta alcune donne ne percorrono solo un tratto per ricongiungersi ai propri familiari, altre si fermano a lavorare nella località raggiunta, altre scelgono di continuare il viaggio verso altre destinazioni.

La decisione di lasciare il loro paese viene presa a causa di guerre, carestie, povertà endemiche, persecuzioni politiche, disastri ambientali, fame, instabilità politica che caratterizza soprattutto i paesi coinvolti nelle Primavere Arabe. Per le donne che provengono dall’Africa, dal Medio Oriente o altre zone, dove non vi è possibilità legale alcuna di raggiungere l’Europa, gli unici disposti a far fare questo viaggio sono i trafficanti di zona, primo contatto per l’inizio di un processo di indebitamento grottesco che arricchirà le casse delle mafie transnazionali, che spesso sono in contatto con terroristi locali, e che può aumentare vertiginosamente nel corso del viaggio. Queste donne attraverseranno aree tra le più difficili dove sono in corso conflitti e persecuzioni, aree dove la vita non vale molto, paesi dove non esiste alcuna forma di diritto. Per chi arriva dal Sud il percorso prevede solitamente il passaggio dal Mali, Ciad, Sahel, Deserto del Sahara, Sudan, Algeria, Libia; quelli provenienti da est attraversano il confine Iran-Iraq, Pakistan e Turchia. Molte sono le donne di nazionalità nigeriana, eritrea, guineana, della Costa d’Avorio, Etiopia o Burkina Faso, solo per citare alcuni paesi, che affrontano questo inferno e molte di loro saranno vittime di abusi sessuali anche durante il viaggio, la permanenza in Libia e la traversata del Mediterraneo.

La violenza di genere è una delle caratteristiche dell’esperienza migratoria che coinvolge la maggior parte delle donne e delle ragazze prima, durante e dopo il percorso migratorio.

Le storie di queste donne sono diverse tra di loro e complesse ma hanno come denominatore comune le violenze subite. Alcune di loro vengono reclutate nel loro villaggio con la falsa promessa di un lavoro onesto e una nuova vita. Vengono vincolate attraverso un prestito con la promessa che verrà restituito, suggellato da un rito magico e da successive minacce alla loro incolumità e a quella dei loro familiari, rimasti nel villaggio di origine, qualora il debito non venga saldato. Molto spesso sono i fratelli, i fidanzati, gli amici di famiglia o i parenti, quelli che fungono da tramite con le organizzazioni criminali che faranno arrivare queste donne in Europa, molte delle quali saranno immesse nel mercato della prostituzione o in situazioni di sfruttamento lavorativo. In alcuni casi sono costrette ad partire ignorando a cosa vanno incontro e quale sarà la destinazione, altre volte sono costrette a imbarcarsi sotto la minaccia delle armi, anche quando le imbarcazioni sono fatiscenti come nel caso dei gommoni. Su queste imbarcazioni di fortuna arrivano sulle coste libiche, in un paese dove migranti, rifugiati e richiedenti asilo sono totalmente privati dei loro diritti, possono essere arrestati in qualsiasi momento e rinchiusi in luoghi di detenzione infernali, gestiti in parte dalle autorità governative, in parte da milizie o gruppi armati, e dove per molte donne la violenza fisica e sessuale è un fatto quotidiano. Quando viaggiano da sole, le donne e le ragazze, subiscono stupri ripetuti perpetrati dalle guardie dei centri di detenzione, patiscono la mancanza di acqua e cibo e di condizioni igieniche essenziali oltre a non avere le cure mediche necessarie. Molte di queste donne hanno partorito in posti assolutamente insalubri, senza nessuna assistenza e talvolta in seguito a violenza. In molti casi se le migranti non sono in grado di pagare il riscatto richiesto per il loro rilascio, vengono cedute alle reti della tratta di esseri umani e sottoposte a una puntura anticoncezionale per “ridurre il danno gravidanze” a cui potrebbero andare incontro a causa dei continui abusi sessuali durante il viaggio.

La violenza sessuale è usata dai vari aggressori per svariati scopi che vanno dalla punizione al semplice piacere personale, al ricatto e che spesso è accompagnata da torture e crudeltà indicibili. A volte uomini e bambini sono costretti ad assistere a episodi di violenza perpetrati su donne e bambine che a volte risultano essere letali per gli oggetti usati; altre volte sono i bambini stessi che vengono costretti a stuprare donne e bambine anche se fanno parte della loro famiglia.

A volte si riesce a fuggire da questi luoghi e dalla Libia via mare in cambio di ingenti somme di denaro, altre volte sono costrette a rapporti sessuali con i contrabbandieri in cambio di un posto su una barca. Alcune di loro non arriveranno mai a destinazione perché moriranno in mare altre perché intercettate dalla Guardia Costiera saranno riportate in Libia dove verranno nuovamente violentate, picchiate e torturate.

Le donne migranti, a seconda del contesto e delle vie di migrazioni, sono costrette ad affrontare rischi diversi rispetto agli uomini e spesso anche rispetto ad altri gruppi di donne. È vero, le donne profughe o richiedenti asilo sono meno degli uomini, ma il loro vissuto è così costellato di violenze che a volte faticano anche a raccontare.

Nelle crisi umanitarie molte donne subiscono abusi sessuali e quasi la totalità violenza fisica; tante di queste donne nei loro paesi di origine hanno sbito mutilazioni genitali e sono state obbligate a matrimoni forzati.

Alcune donne hanno tentato di sfuggire alla morte per molti anni della loro vita e molte sono fuggite per evitare alle loro figlie la stessa sorte. Ognuna porta il segno di tutte le separazioni che si è lasciata alle spalle, le sopraffazioni subite, ma anche una capacità sorprendente di riparare le ferite e di affidarsi alla cura delle altre donne. Sono sole nell’affrontare ed elaborare le violenze subite, quando i motivi della loro fuga sono riconducibili a persecuzioni per motivi di genere, quando sono costrette a matrimoni precoci o forzati, quando subiscono mutilazioni genitali, quando sono obbligate a sottoporsi ad aborto coatto o a sterilizzazione forzata. Sono sole durante quasi tutta la loro vita ma quando arrivano nei luoghi di approdo sono capaci di trovare risorse e soluzioni, di superare le violenze, le esperienze traumatiche vissute al fine di poter migliorare la loro condizione, di fare rete con altre donne. Mantenendo i legami con le proprie origini, tessono nuove e originali relazioni, sono in grado di attuare strategie di adattamento alle diverse situazioni, inventando percorsi di vita che di volta in volta affrontano e che contribuiscono a dare senso e significato alla loro esperienza migratoria. Sono donne in movimento che nonostante le incredibili difficoltà affrontate e i numerosi ostacoli al loro accesso, mostrano una grande resilienza e chiedono solamente di avere uguaglianza tra i sessi, indipendenza economica, libertà di scegliere e di costruire la propria vita.

Questo racconto vuole omaggiare, ricordare, dare visibilità a tutte le donne naufraghe al loro coraggio, alla loro forza e resilienza, restituendo l’umanità e l’individualità di cui spesso sono state private.