"La scrittura esige virtù scoraggianti, sforzi, pazienza: è un'attività solitaria in cui il pubblico esiste solo come speranza" - Simone De Beauvoir
JOSEPHINE VERSTILLE NIVISON

JOSEPHINE VERSTILLE NIVISON

Josephine Verstille Nivison (Jo Hopper)

(Manhattan 18 marzo 1883 – 6 marzo 1968)

Josephine, “Jo” come ama farsi chiamare, nasce in una famiglia che non si ferma mai a lungo nello stesso posto e che ai continui cambi di domicilio accompagna anche altre forme di instabilità.

La madre, che Josephine definiva “la mia mamma uccello”, è molto permissiva nei suoi confronti, mentre il padre musicista, con il quale Josephine sostiene che è difficile convivere, non ha uno spiccato senso paterno e il suo egocentrismo è tale da impedire qualsiasi rapporto con i figli che non sia relazionarsi per le cose essenziali.

Forse per reazione alla turbolenta vita familiare o forse perchè voleva uscire da questo mondo, Josephine inizia a 12 anni ad appassionarsi alla lettura studiando Shakespeare e altri autori classici. Frequenta il “Normal College of the City of New York”, istituzione fondata allo scopo di fornire un’istruzione superiore alle donne, formando una serie di insegnanti capaci e competenti, che così offrono il loro contributo alla città stessa. Jo ha l’età di 17 anni e gli studi impegnativi e rigorosi della scuola, le danno una cultura che spazia dal latino, al francese, alla letteratura inglese. Segue anche materie come educazione civica, ponendo particolare attenzione alla storia americana, psicologia e storia dell’educazione.

Negli anni in cui frequenta il college, Josephine si dedica anima e corpo a molte attività non incluse nel piano di studi, che le danno modo di mettere a frutto la sua creatività e di iniziare a plasmare e valorizzare l’immagine di sè in quanto artista. Inizia con il teatro, poi si dedica alla produzione di opere del circolo filodrammatico della scuola e impegna molto del suo tempo nelle arti visive in cui primeggia, tanto che alcune sue illustrazioni vengono pubblicate su due giornali universitari: l’”Echo” e il “Wistarian”. Quest’ultimo, essendo un annuario, include Josephine tra le cinque “artiste speciali” che hanno realizzato le illustrazioni e pubblica per due anni consecutivi, 1902 e 1903, i suoi lavori conferendole così una discreta visibilità.

L’educazione artistica è la sua materia preferita, ma i metodi rigidi con i quali viene insegnata mal si conciliano con lo spirito libero di Josephine e anche con il suo talento. Decide così di dedicarsi quasi esclusivamente allo studio dell’arte e si iscrive alla “New York School of Art”, famosa per essere la più innovativa e liberale, ma soprattutto di avere gli insegnati più discussi del momento. Il suo talento non passa inosservato a Robert Henry, figura fi spicco del realismo americano, che diventa il suo mentore e che la fa posare per un ritratto facendola innamorare della ritrattistica a cui Josephine resterà appassionata per tutta la sua vita.

Ritratto di Josephine Nivison – Robert Henry

Nel 1906 Josephine inizia a insegnare nelle scuole pubbliche, in particolare nelle scuole elementari, dove le viene assegnata una classe maschile che lei accetta anche se malvolentieri. Non intende rinunciare alla possibilità che le viene offerta anche perchè l’alternativa, per le donne di questo periodo, è dedicarsi alle incombenze domestiche e tornare a casa, annullando tutti gli sforzi fatti e ignorando i propri desideri.

Josephine rientra nella ristretta schiera di donne appartenenti alla piccola borghesia che hanno la possibilità di studiare e di avere un’alternativa al matrimonio e alla maternità e lei coglie al volo questa opportunità. Dopo la morte del padre, insieme alla madre e al fratello, continuano a cambiare spesso abitazione e soprattutto ad allontanarsi dalla scuola dove Josephine insegna.

Dopo due anni di enormi sacrifici, Josephine decide di prendere in affitto un monolocale vicino alla scuola che divide con un’amica, conquistando la libertà dalla sua famiglia tanto agognata, dove rimane per circa 6 anni. Josephine inizia ad avere una vita sociale attiva e frequenta un gruppo di amici che la introducono nel mondo del Greenwich Village, il cui ambiente bohémien e alternativo che lo caratterizza, ha influenzato a lungo la cultura americana. Grazie al suo carattere estroverso Josephine conosce persone come Alfred Stiegliz, fotografo e gallerista d’avanguardia, che la invita a partecipare a una mostra con le sue opere.

Nel 1914 Josephine espone i suoi quadri a una collettiva di 64 “Small Oils By American Artists” che si tiene alla Daniel Gallery, insieme ad artisti quali William Zorach e Man Ray, ricevendo parole di encomio che vengono pubblicate su diversi giornali tra cui il “New York Times”.

Josephine ha ricevuto un’educazione che presta più valore all’individualità che al conformismo e con questi crismi si comporta nella sua quotidianità, soprattutto quando realizza illustrazioni per la rivista socialista “The Masses”, della quale condivide le idee, in particolare quelle sulle battaglie femministe per una maggiore diffusione delle informazioni inerenti il controllo delle nascite. Negli anni pubblica altri disegni su alcuni quotidiani quali l’“Evening Post” e il “New York Tribune” e la passione per la danza che ha da sempre, la porta a ritrarre Isadora Duncan quando si esibisce a New York nel 1915 e, l’anno successivo, a dipingere il celebre Nijinski.

Al Greenwich Village Josephine ha la possibilità di conoscere alcune femministe attive e di cimentarsi nella produzione dei “Washington Square Players”, compagnia nata nel 1914 per contrastare le produzioni commerciali di Broadway. I loro spettacoli trattano spesso il tema del sesso e vengono presentati senza scenografie e solo con le sedie per gli spettatori. La paga degli attori è di venticinque dollari la settimana per sette spettacoli settimanali, un impegno che per Josephine, che continua a mantenersi facendo l’insegnante, inizia a diventare gravoso. D’estate si sposta nelle varie colonie di artisti del New England e in particolare a Cape Cod.

Con la sua irrequietezza e voglia di scoprire il resto del mondo, Josephine cerca di andare all’estero facendo richiesta per lavorare nella Croce Rossa. La sua domanda non viene accolta, ma Josephine, sempre più determinata, partecipa al reclutamento di assistenti alla ricostruzione per il dipartimento medico del corpo di spedizione americano e, prendendo un’aspettativa dalla scuola, firma l’arruolamento e parte per la Francia dove viene incaricata di lavorare come ergoterapista su navi militari ancorate nei porti di Bordeaux e Brest.

Nell’inverno del 1918 si ammala di bronchite acuta e, ritenuta inidonea per il servizio che sta fornendo, viene assegnata al “Walter Reed General Hospital” di Washington per continuare a svolgere il lavoro di assistente alla ricostruzione fino a quando non si congeda nel 1919. Al suo rientro, Josephine scopre che la Direzione Generale dell’Istruzione non le ha conservato il posto durante l’aspettativa, così si ritrova senza casa e senza lavoro fino a quando, con i pochi risparmi messi da parte, trova un monolocale a un prezzo esiguo nel Greenwich Village. Qui ha una schiera di amici tra i quali Henriette Rodman, educatrice e femminista, che con i suoi discorsi e le questioni che solleva, rafforza l’idea di Josephine di diventare un’artista professionista, malgrado in questo periodo sono poche le donne che riescono a esporre le loro opere e ancora meno quelle che riescono a guadagnarsi da vivere con la pittura.

Nel 1920 il ministero dell’educazione conferisce un’incarico a Josephine presso il “Willard Parker Hospital”, specializzato in malattie infettive, dove contrae la difterite. Le conseguenze di questa malattia rafforzano ancora di più l’ambizione di Josephine di dedicarsi solo all’arte e abbandonare il mondo dell’insegnamento, cosa che fa appellandosi alla mancata informazione relativa ai rischi connessi all’incarico ricevuto. Per questa ragione, lotta con caparbietà e intraprendenza per ottenere la pensione anticipata che ottiene nel 1921 e che le permette finalmente di dedicarsi all’arte come mai finora. Nel frattempo Josephine si trasferisce a Woodstock che durante la stagione estiva attira visitatori provenienti dalle altre colonie d’arte. L’ambiente che la circonda è quello ideale per dipingere e in effetti questo è un periodo prolifico per Josephine che produce una dozzina di acquerelli che porta con se a Provincetown dove affitta un alloggio che condivide con il suo inseparabile gatto “Arthur”.

Nel 1922 Josephine partecipa a una mostra dove presenta uno degli acquerelli di Cape Cod, mentre gli altri vengono esposti alla New Gallery in una grande “Holiday Exhibition” accanto a quelli di Picasso e Magritte. Nell’estate del 1923 si reca a Gloucester, una colonia di artisti dove incontra Edward Hopper con il quale inizia a dipingere e a condividere la passione per il francese.

Josephine Nivison – Acquerello

Questa nuova amicizia è molto stimolane per Josephine, che in questo periodo si sta godendo i diversi riconoscimenti e sta vedendo la sua carriera decollare.

Hopper è famoso soprattutto per le sue illustrazioni, ma Josephine insiste affinchè lui si dedichi all’acquerello perché ha percepito acutamente le sue potenzialità. Ben presto quest’amicizia si trasforma in relazione amorosa anche se Josephine si rende conto delle differenze tra loro: lei è estroversa, gioiosa con i suoi capelli rossi e determinata; lui è taciturno, impacciato e gretto.

Nello stesso periodo viene invitata dal Brooklin Museum a presentare sei suoi lavori in una mostra collettiva di acquerelli e disegni di artisti americani ed europei. Josephine decide di accettare ma convince gli organizzatori a visionare anche le opere di Hopper i quali, dopo averli esaminati, acconsentono a esporre sei aquerelli di Gloucester insieme agli acquerelli di Josephine che però rappresentano un’ambiente più eterogeneo.

La maggior parte dei critici ignora le opere di Josephine ma dedica grandi elogi a quelli di Hopper. Josephine e Edward si sposano nell’estate del 1924 e decidono di trascorrere la loro luna di miele a Gloucester dove dedicano tutto il loro tempo a dipingere acquerelli. Le prime discussioni tra Josephine e Hopper iniziano quasi subito. Già dopo la mostra, Edward non perde occasione per svilire il lavoro di Josephine, deridendola, ostacolandola e impedendole di fare ciò che desidera, mentre lei sembra perdere sicurezza e determinazione ogni volta che asseconda i suoi desideri. Da questo momento Josephine abbandona il suo cognome e adotta quello del marito con il risultato di essere completamente dimenticata dal mondo dell’arte. Ma il primo vero problema pratico è rappresentato da Arthur, che Jo tratta come un bambino e dal quale non vuole assolutamente separarsi, che Edward non sopporta perché ritiene che la moglie si occupa più del gatto che di lui. Per Arthur Jo decide di non trasferirsi a casa di Hopper di rientro da Gloucester e questo sarà fonte di discussioni accese continue. Il sesso è altra fonte di amarezza per Jo e in uno dei suoi scritti si esprime affermando che:

«[…] I primi tempi reagivo sempre con sorpresa, ma sapevo poco e niente di questa questione fondamentale. Quello che mi lasciava del tutto sconvolta era che la faccenda si concludeva a suo esclusivo beneficio. Quando me ne resi conto – quel mondo era completamente sconosciuto e io ne ignoravo tutto – dichiarai che se le cose stavano così, l’avrei lasciato fare. Smisi di interessarmi alla questione. Avrebbe avuto il mio corpo ma non gli avrei consentito di farmi male, solo un po. Non sarei stata oggetto di puro sadismo. Mi fu vietato di consultarmi con altre donne su questi misteri. Se gli era capitata un’imbranata, non c’era bisogno di farlo sapere in giro. Poi si mise a lavorare di fino per crearmi un complesso di inferiorità per cui nella mia ingenuità avevo i requisiti.»

Come molti uomini anche Edward ha una mentalità vittoriana a riguardo del sesso e, nonostante le esperienze parigine, non si è affatto emancipato dalla visione antiquata ed egoista che attribuisce al maschio il ruolo dominante nella sfera sessuale. Siamo negli anni venti e matrimoni di questo tipo vengono considerati emotivamente aridi dalle femministe che dibattono sul soddisfacimento femminile. Queste teorie sono ampiamente condivise da Jo che, a differenza di altre donne dell’epoca, non si è sposata per sottrarsi all’autorità genitoriale o per raggiungere una sicurezza economica, ma l’ho ha fatto per amore e venerazione.

Tra insuccessi, costrizioni e conflitti, l’unione tra Jo e Edward prende forma e si consolida e entrambi si adattano ai limiti del quotidiano. L’improvvisa sparizione di Arthur porta Jo alla decisione di abbandonare il suo studio rinunciando così ad avere uno spazio tutto suo, rinunciando alla prorpia identità artistica e personale per assecondare quella di Edward perdendo così anche la sua indipendenza. Il rapporto con Edward è carico di tensioni, dovute soprattutto alle continue crisi che Edward ha nei periodi in cui gli manca l’ispirazione.

Jo ha la consapevolezza che la vita coniugale ha intralciato la sua carriera di pittrice e che i suoi ultimi tentativi artistici sono stati un fallimento. Per questo sostiene che il matrimonio, per una donna artista, è fatale perchè disturba troppo la sua coscienza e non le da più il tempo sufficiente per raccogliersi in se stessa e produrre qualcosa. Questa situazione per lei inizia a diventare insopportabile ma per qualche strana ragione non si sottrae e inizia a tenere un diario dove inizia a registrare i particolari dei viaggi estivi e i dettagli più banali della sua quotidianità con Hopper, ma anche i sentimenti personali e la rabbia che prova tutte le volte che Edward la ostacola o le vieta di fare qualcosa a cui lei aspira. Come quando decidono di acquistare una macchina che però guida sempre lui perché a Jo è impedito prendere lezioni di guida; o come quando, grazie a un’eredità ricevuta da uno zio di Jo, decidono di comprare una casa ed è Edward a scegliere il luogo e quella sarà una casa che Jo non sentirà mai sua, perché, come la macchina, essa è funzionale all’arte di Hopper e pensata su misura per le sue esigenze. Basti pensare che non vuole l’elettricità, l’acqua va presa al pozzo e installa l’unica stufa di casa nel suo studio costringendo Jo a dipingere al freddo e in completa solitudine.

La vita di Jo ruota quasi sempre intorno a quella di Hopper. Lo accudisce venerandolo, fino a diventare persino la sua modella, sopportando estenuanti sessioni di posa, in tutti i quadri nei quali compare una figura femminile. Jo si accorge però che Edward in questi quadri modifica la sua figura e i lineamenti, la rende più giovane di quella che è, le tinge i capelli, le allunga le gambe, disegna i fianchi e la pancia meno formosi.

Hotel window – Edward Hopper

Alla fine degli anni trenta la disparità di carriera tra Edward e Jo diventa sempre più marcata. La fama di Hopper si consolida tanto quanto il disprezzo per le aspirazioni della moglie diventano mortificanti al punto che a volte, durante le discussioni le tensioni vengono sfogate con violenza. Questo rapporto turbolento dura più di quarant’anni. In tutti questi anni, Jo influenza il lavoro di Hopper in modi diversi ma forse quello più importante è l’esempio che lei da con la pittura e che ispira Hopper a dedicarsi all’acquerello. Una serie di opere di Jo raffigurano ambienti poi diventati importanti per Edward. È lei a inventare i nomi dei dipinti di Hopper, ad aiutarlo quando ha un blocco creativo o si sente insicuro per un dipinto che stava facendo. Mantiene gli inventari delle opere (i famosi libri mastri) sue e di Edward, ha scritto le descrizioni che accompagnano gli schizzi a penna e inchiostro di opere di Edward e registra gli acquisti per data, acquirente, prezzo e commissioni. Questa meticolosità ha permesso di conoscere alcuni aspetti dei loro viaggi estivi grazie soprattutto agli album degli schizzi di Jo, agli appunti, disegni e mappe da lei scarabocchiate dal sedile del passeggero, mentre Edward guidava la loro Buick. In occasione delle nozze d’argento, Jo scrisse un bigliettino a Edward dove ironicamente riportava:

«Meritiamo la croix de guerre, una medaglia per esserci distinti nelle battaglie.»

Edward Hopper muore nel 1967, Jo gli sopravvive per una anno prima di morire all’età di 84 anni, nel 1968. I mesi di lutto vengono usati da Josephine per organizzare e documentare il suo patrimonio artistico e quello di Edward, che lascia in eredità al Whitney Museum of America Art che espone le opere di Hopper ma non le sue. Si pensa che le sue opere siano state scartate ma nel 2000 sono stati ritrovati 200 opere di Jo nel seminterrato del museo. Gli acquerelli di Jo vengono esposti all’Edward Hopper House Art Center a Nyack, mentre altri vengono inclusi in una mostra di “Edward Hopper as Illustrator” al Norman Rockwell Museum di Stockbridge entrambe nel 2014. Nel 2016 la Provincetown Art Association and Museum ha annunciato che 69 disegni e aquerelli di Jo, insieme a 96 disegni di Hopper, andranno ad arricchire la collezione.