La diffusione della scrittura si stava allargando sempre di più e nel XIII sec. venne inventato un sistema di trascrizione di testi noto come “pecia”. Nella produzione libraria universitaria il manoscritto usato per l’insegnamento, corretto e approvato, era diviso in pecie sciolte e numerate che venivano depositate presso un libraio che affittava ogni singola pecia, a prezzi stabiliti dalle università, a più scriba professionisti o agli studenti che volevano trascriverla.
Nel XIV sec. le scritture librarie erano ormai molto prolifiche e l’adozione del sistema gotico e l’uso di miniature a completamento del volume favorirono ulteriormente la loro espansione. I primi libri che riportavano questa grafica sono noti come “libri delle ore” ed erano libri di preghiera che rappresentavano una versione ridotta del breviario che conteneva principi e norme per la liturgia delle ore recitate da monaci e suore 8 volte al giorno durante tutto l’anno. Aldo Pio Manuzio (1449-1515) fu il primo editore che adottò eleganti caratteri romani introducendo il carattere a stampa corsivo che rimase lo standard di tutta la tipografia fino ai giorni nostri.
Nel 1450 venne inventata la stampa a caratteri mobili che rispetto alla scrittura a mano era più elegante e uniforme per tutto il libro. Questa tecnica di stampa fu introdotta dal tedesco Johann Gutenberg (1398-1468) e consisteva nell’allineare i singoli caratteri in maniera da formare la pagina che poi veniva cosparsa di inchiostro e pressata su un foglio di carta. Il primo testo che Gutenberg stampò fu la Bibbia a 42 linee, ossia 42 righe per pagina con il testo riprodotto su due colonne (incunaboli).
Nel 1501 Manuzio realizzò il primo carattere corsivo che sarebbe stato poi adottato nei classici latini e italiani la cui forgiatura, come quella di tutti i caratteri tipografici prodotti da Manuzio, fu eseguita dal punzonista bolognese Francesco Griffo.
All’inizio del XVI sec. la stampa vide un periodo di espansione notevole grazie anche alla Riforma Luterana che causò un risveglio sia a livello teologico che intellettuale. Lutero incalzò le autorirà cittadine a colmare il vuoto culturale creato dall’abbandono dell’istruzione cattolica da parte delle chiese e promosse l’uso dei beni ecclesiastici per fondare nuovi istituti educativi. A dettare le regole dell’insegnamento della scrittura fu l’Italia, dove furono pubblicati manuali di scrittura che usavano solo le lettere maiuscole e che sfruttavano le potenzialità della stampa per diffondere la conoscenza di quest’arte e divulgarne l’insegnamento.
Intorno al 1510 il mercato dei libri venne sommerso da manuali che oltre a usare le lettere maiuscole impiegavano anche le minuscole e la grafia corsiva, sviluppata per la prima volta da Niccolò Niccoli e che venne denominata littera cancelleresca. Pare che questo tipo di scrittura fu usato da Michelangelo per tutta la vita che la sostituì a una forma di gotico corsivo che aveva usato fino ad allora. La prima guida alla stesura della grafia cancelleresca, stampata a Venezia nel 1514, conteneva, oltre a indicazioni su come riprodurre le lettere, anche consigli pratici su materiali e strumenti necessari alla scrittura (tipo di carta, inchiostri, tipo e taglio di penne e pennini) nonché indicazioni sulla postura da assumere e sulla modalità d’impugnatura della penna.
Nel 1524 Ludovigo degli Arrighi detto il “Vicentino”, maestro calligrafo, scrivano di brevi papali e poi stampatore, pubblicò il primo trattato teorico di calligrafia che sviluppava le regole della cosidetta scrittura corsiva, rivolto non più solo ai professionisti ma a tutto il pubblico. Per questa ragione lavorò sui caratteri, rendendoli più semplici, riducendone le dimensioni e rendendo omogenei i tratti. Questo tipo di scrittura corsiva cambiò il modo di scrivere e stampare ed è alla base di tutti i corsivi che ancora oggi adottiamo. L’ultimo trattato di scrittura fu pubblicato nel 1560 da Giovanni Francesco Cresci. Egli proponeva una scrittura d’uso più comune e più pratica da utilizzare anche nelle corrispondenze e nei libri mastri, con caratteri più arrotondati, che avevano la giusta inclinazione ed erano tracciati con una penna più stretta. Questo tipo di scrittura fu adottato anche da altri maestri di scrittura in Olanda, Francia e Inghilterra dove la stampa adottava lastre in rame che rendevano le lettere più nitide e ancora più raffinate anche se la grafia era molto piccola.
Ormai i libri avevano invaso il mercato e gli stampatori inziarono a espandersi anche a livello europeo. Per le autorità ecclesiastiche questo rappresentava un problema perchè la stampa, ma soprattutto i libri, potevano acquisire un notevole potere e influenzare negativamente il pubblico. Per questa ragione iniziarono a mettere dei veti alle pubblicazioni che vennero estesi a tutto il mondo cristiano da Papa Leone X. In Francia a metà del ‘500 l’editto di Châteaubriant veniva imposto a tutti gli atampatori e prevedeva una serie di regole da seguire per la pubblicazione dei libri e per la loro tracciabilità. Così doveva comparire sul libro il nome del maestro stampatore, il domicilio e la marca tipografica oltre al nome della stampa e dell’autore. Alla fine del ‘500 papa Paolo IV emanava il primo Indice dei libri proibiti nel quale erano riportati i nome degli stampatori che erano considerati “eretici” le cui opere erano messe al bando anche se riguardavano argomenti non prettamente religiosi.
In questo periodo il tasso di alfabetizzazione aumentò notevolmente e finalmente la scrittura iniziò ad avere la giusta diffusione investendo sia la natura fisica del libro che quella del testo. I libri iniziarono ad essere stampati in bianco e nero, le pagine vennero rimpicciolite, i margini ridotti e questo assicurò la sopravivenza commerciale di libri ma anche la loro manegevolezza. L’impaginazione diventava essenziale e rendeva il libro più leggibile perchè il testo iniziò a essere suddiviso in paragrafi e vennero introdotti gli indici di riferimento alle pagine per agevolarne la consultazione, note a piè pagina e nuovi sistemi di punteggiatura.
Iniziano a comparire anche i primi manuali per redigere la corrispondenza, che spiegavano come scrivere le richieste di lavoro o di assistenza ma anche come redigere missive di congratulazioni o di gratitudine o di cordoglio e finanche come scrivere lettere d’amore. Altri manuali furono scritti per insegnare a compilare ambiali, contratti, accordi prematrimoniali e anche biglietti d’auguri in rima per le occasioni festive.
La scrittura manuale acquista sempre più interesse e con lei cresce anche l’importanza data all’esperienza diretta, alla documentazione redatta spesso sotto forma di appunti e alla sua comunicazione. Si iniziano a stampare i primi libri di anatomia umana, arricchiti da tavole che riproducevano le dissezioni del corpo umano e che stabilivano nuove norme per descrivere l’anatomia.
Anche nell’ambito della botanica medica si assiste ad una evoluzione nel campo delle illustrazioni che diventano parte fondamentale dell’opera in quanto derivate dall’osservazione diretta delle piante e non a ristampe di opere antiche. L’opera della quale sto scrivendo è l’Herbarum vivae icones le cui 260 illustrazioni pare siano state eseguite da un allievo di Dürer che riprodusse fedelmente le piante con le loro caratteristiche mostrando i danni che venivano provocati dagli insetti sulle foglie, fiori o altre parti della pianta e questo permise al mondo botanico di identificare e assegnare un nome unico alle specie vegetali descritte.